Elenco degli articoli scritti da "Paolo Perazzolo, Autore a Paoloperazzolo.it - Pagina 6 di 22"

9 Lug 2016

Google Car, ha un bel problema

Un prototipo della Google Car.

Un prototipo della Google Car.

È dei giorni scorsi la notizia del primo incidente mortale in una vettura che viaggiava con il pilota automatico. A maggio in Florida il conducente di una Tesla Model S che aveva in quel momento inserito il sistema Autopilot (una specie di guida semiautomatica) ha perso la vita. La Tesla ha subito precisato che si tratta del primo incidente mortale dopo 200 milioni di chilometri percorsi dalle vetture di questo tipo,  ma non ha potuto impedire l’inchiesta negli Usa dell’NHTSA, l’ente federale Usa per la sicurezza stradale.

Intanto resta vivace il dibattito sugli algoritmi con cui programmiamo le auto a guida autonoma, le Google Car, per intenderci: in base agli algoritmi che i programmatori, cioè l’uomo, le assegneranno, l’auto “saprà” come comportarsi. Ora, è certo che la Google Car potrà risparmiare migliaia di incidenti e di vittime, per la semplice ragione che non è suscettibile del classico “errore umano”. Semmai è emerso che proprio la scrupolosa attenzione e osservanza del Codice stradale potrebbe provocare degli incidenti, perché impatterebbe con l’umana tendenza a fare il contrario…

Tuttavia è un’altra questione a sollevare i problemi più spinosi, perché sconfina dall’ambito prettamente tecnologico in quello filosofico ed etico. Per spiegare di che cosa stiamo parlando, conviene fare un esempio: la nostra Google Car con un passeggero a bordo sta viaggiando tranquilla, “vede” un semaforo verde e quindi procede per la sua strada. All’improvviso un gruppo di pedoni attraversano, noncuranti del rosso. In situazioni del genere, che cosa dovrà fare la Google Car? Investire i pedoni, perché non hanno rispettato la segnaletica? Oppure buttarsi di lato, per salvarli, con l’alta possibilità di ferire o uccidere il suo passeggero? Che cosa è giusto fare?

La situazione si può complicare ulteriormente, in base alle varianti immaginabili: se il passeggero è una donna incinta? Se ad attraversare la strada sono dei bambini? E così via…

Qualcuno ha provato a proporre la celebre dottrina del male minore come soluzione. Ma siamo sicuri che sia davvero una soluzione? Oppure non è, in questo caso, un criterio eccessivamente utilitaristico? E come calcolare, ammesso che sia possibile, il “valore” delle persone? Basta un criterio quantitativo a dirimere il dilemma: il valore dipende dal numero di persone in gioco, cioè meglio sacrificarne una per salvarne ad esempio quattro? E se quell’unica persona è una madre incinta, appunto?

Inutile dire che la Google Car, con tutta la sua fiammante e avveniristica tecnologia, non è in grado di rispondere a queste domande. Reagirà alla situazioni in base ai comandi, agli algoritmi che le verranno trasmessi da noi uomini. E quindi: come vogliamo configurarla? Nelle situazioni prospettate, dovrà seguire la teoria del male minore? Oppure?

Vale la pena aggiungere che alcune ricerche hanno evidenziato che tutti noi siamo d’accordo, in linea di massima, che è preferibile salvare quattro vite sacrificandone una sola. Salvo che quella vita da sacrificare sia la nostra. Il che significa che nessuno comprerebbe un’auto a guida autonoma programmata per sacrificare il suo passeggero al fine di salvare altre vite…

La tecnologia sembra più evoluta della nostra capacità di dare risposte etiche…

L’articolo è stato pubblicato l’1-7-2016 su Famigliacristiana.it

21 Giu 2016

Hannah Arendt e la banalità del male per la P4C

Barbara Sukowa interpreta Hannah Arendt nel film di Margaret Von Trotta.

Barbara Sukowa interpreta Hannah Arendt nel film di Margarethe Von Trotta.

Fra chi si occupa di Philosophy for Children and Community è sempre vivo il dibattito sul testo-pretesto, ovvero sul testo che viene condiviso dalla comunità e sul quale si innesta poi la discussione filosofica. In precedenza ho indicato come alcune pagine di Javier Marías si prestino perfettamente allo scopo. La letteratura, in generale, se bene selezionata e di qualità, fornisce abbondante materiale in grado di assolvere a questa funzione.

Non solo la letteratura, però. Anche il cinema. Qui voglio ad esempio indicare il film che Margarethe Von Trotta ha dedicato ad Hannah Arendt e in particolare sul reportage che lei elaborò dal processo ad Adolf Eichmann, dal quale scaturì il noto concetto di “banalità del male”.

Ecco il trailer del film.

In particolare, mi pare stimolante per avviare un confronto il discorso con cui l’allieva di Heidegger si difende allorché viene accusata dai dirigenti universitari di giustificare il male con la sua teoria. Le parole che usa toccano corde profonde e saprebbero senza dubbio suscitare una discussione profonda e proficua.

Provate ad ascoltarlo.

20 Mag 2016

Paolo Di Paolo, quel quasi che fa la differenza

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

Fra i giovani autori, Paolo Di Paolo è uno di quelli che vanno seguiti con più attenzione. Ha già pubblicato libri interessanti e notevoli, che denotano tra l’altro un certo spessore culturale e anche un’attenzione a tematiche di natura spirituale, pur se da un approccio “laico”, che a mio avviso rendono l’autore ancora più intrigante. Un’attenzione, la sua, piuttosto rara fra le giovani generazioni di autori (si veda ad esempio Perché non sono ancora. La resurrezione, Effatà).

Il suo ultimo libro, Una storia quasi solo d’amore, edito da Feltrinelli, torna su un tema caro all’autore, presente in diversi suoi lavori: l’amore. Non soltanto come racconto della passione che può unire due creature, come ho spiegato nella recensione che potete recuperare, ma come metafora delle grandi dinamiche esistenziali e spirituali.

In questo libro, l’amore, il teatro, la letteratura, e anche la fede sono interpretati come luoghi del mistero, come un perdersi nell’altro necessario per trovare se stessi.

12 Apr 2016

Jonathan Franzen? Checché ne dica Bloom…

Jonathan Franzen

Jonathan Franzen

Sapete che Harold Bloom, il più noto dei critici letterari al mondo, se non il più noto, ha un giudizio molto critico rispetto alla narrativa contemporanea. Al punto da catalogarla semplicemente e sprezzantemente sotto l’etichetta garbage, cioè spazzatura.

Tra le vittime della sua feroce critica, figura anche un autore che a me, invece, piace molto: Jonathan Franzen. Da poco è uscito il suo ultimo romanzo, Purity (Einaudi), sul quale ho scritto un’appofondita – almeno mi pare! – recensione che potete leggere cliccando su queste parole. Di lui mi ero occupato anche in precedenza, quando aveva pubblicato Libertà.

Perché penso che Bloom, con tutto il rispetto, si sbagli di grosso? La risposta dovrebbe essere: perché Franzen è dannatamente bravo. Sa creare delle storie in cui il lettore viene risucchiato, un universo di personaggi che diventano tuoi compagni di vita, al punto che – nonostante la mole dei suoi libri – si arriva in fondo rapidamente. Pochi autori sanno scavare a fondo nella mente dei personaggi come lui, mettendone in luce l’insuperabile imperfezione. Proprio l’impurità dei suoi personaggi – per usare la categoria dell’ultimo romanzo – anziché renderceli estranei, ce li rende vicini, favorendo un processo di identificazione.

Aggiungo un ultimo elemento che fa di Franzen un grande scrittore, come lo ha definito, peraltro, il Time dedicandogli una copertina. Pur preoccupandosi esclusivamente di fare buona letteratura, anzi, proprio perché si occupa esclusivamente di fare buona letteratura, le storie che Franzen racconta hanno sempre un risvolto morale. Dalla serie dei suoi scritti emerge sempre più compiutamente il tentativo di elaborare una sorta di critica del suo Paese, l’America, che diventa critica di ogni società contemporanea. Narrando le sue storie, Franzen mette a nudo le nostre miserie, mostrando la realtà per quello che è. Il mondo contemporaneo e noi che lo abitiamo ci troviamo rappresentati in queste pagine.

Ecco perché, caro Bloom, si sbaglia…

30 Mar 2016

Pensieri filosofici di una mamma

Vittoria Baruffaldi

Vittoria Baruffaldi

Di recente mi sono imbattuto in un libro che incontra diversi dei miei interessi: la filosofia in generale, l’insegnamento della filosofia ai bambini, il rapporto fra filosofia e vita, ovvero l’applicazione della filosofia alla vita, il rapporto fra genitore e figlio…

Si tratta di Esercizi di meraviglia. Fare la mamma con filosofia di Vittoria Baruffaldi, pubblicato da Einaudi. In questo articolo ho presentato e analizzato i temi principali del libro.

L’autrice insegna filosofia in un liceo ed è diventata mamma. È esattamente l’esempio vivente di come filosofia ed esistenza non solo possano, ma anche “debbano” incontrarsi, per fecondarsi a vicenda.

Mi è ovviamente impossibile mettermi nei panni di una donna che ha in grembo un bambino: di certo, la vita che nasce accresce, vorrei dire quasi esaspera la nostra attitudine filosofica, perché ci riporta in quella condizione incantata in cui tutto ci appare meraviglioso, come se lo vedessimo per la prima volta.

12 Mar 2016

Muriel Barbery, il riccio era più elegante degli elfi

Muriel Barbery

Muriel Barbery

Con un po’ d’ironia il titolo sintetizza il mio pensiero su La vita degli elfi (e/o), il nuovo romanzo di Muriel Burbery, l’insegnante di filosofia-scrittrice che aveva ottenuto un successo strepitoso con L’eleganza del riccio. Tanto era convincente quest’ultimo, quanto incompiuta la nuova prova. Eh sì, la magia qui è svanita. In questa recensione racconto la trama e spiego nel dettaglio perché. A questo punto, considerato che dovrebbe seguire un secondo volume sulla vicenda, c’è da chiedersi che sorte avrà, vista la delusione della prima parte.

In La vita degli elfi è bella l’idea di affidare a due bambine orfane poteri straordinari e positivi, in lotta con oscure forze del male. Anche lo sfondo “elfico” poteva aggiungere qualche suggestione. Il problema è che tutto si risolve in un progetto sconclusionato, che alla fine suona pretenzioso.

Confesso che ho letto metà del romanzo in attesa di una svolta, di un salto che desse senso a tutto. Terminata la lettura, e constatata l’assenza di questo cambio di marcia, ho dovuto concludere che si trattava solo di un romanzo sfortunato.

Peccato.

1 Mar 2016

Tiziano Scarpa estasiato dal geco

Tiziano Scarpa. Sullo sfondo, la "sua" Venezia.

Tiziano Scarpa. Sullo sfondo, la “sua” Venezia.

Tiziano Scarpa è un autore da seguire, uno di quelli che prendono sul serio la letteratura. Dai suoi romanzi, c’è sempre da imparare. Dalla lingua, dallo stile anzitutto, al quale Scarpa sembra assegnare una valenza addirittura etica. Le parole, la lingua, insomma la letteratura possiedono una forza capace non solo di leggere e decifrare il mondo, ma persino di modificarla. E’ uno degli strumenti più potenti nelle mani dell’uomo.

Queste considerazioni trovano conferma in Il brevetto del geco, il suo ultimo romanzo edito da Einaudi. Per una recensione più approfondita, rimando a questo link, nel quale ho riassunto trama e indicato possibili letture. 

Qui mi preme sottolineare e aggiungere che in questo romanzo l’autore sembra fare una vera dichiarazione di fede, messa a confronto con altre fedi ritenute – forse – meno affidabili, quando non fallaci.

Mi spiego: uno dei personaggi, Federico, incarna la fede nell’arte; un altro, Adele, il valore della religione. Entrambi i loro “credi”, nello sviluppo del romanzo, mostrano le loro crepe, i loro limiti. Rispetto ad essi, invece, risalta il potere certo e autentico della letteratura.

Chissà che cosa ne pensa Tiziano Scarpa…

20 Feb 2016

Il futuro vive oltre il filo spinato

La foto che ha vinto il World Press Photo 2016.

La foto che ha vinto il World Press Photo 2016.

Vedere le foto vincitrici del World Press Photo è sempre un piacere. Ieri me le sono guardate una ad una, nelle diverse categorie.

La foto che ha vinto il premio assoluto è davvero straordinaria. Ritrae un padre che passa attraverso il filo spinato il figlio. Siamo ai confini fra Serbia e Ungheria, nell’agosto del 2015, in pieno esodo epocale. Quando sembrò che l’Europa, con la Merkel alla testa, aprisse le porte. Salvo poi fare marcia indietro, come registriamo in questi giorni.

La foto è in bianco e nero, poco illuminata. Il fotografo – Warren Richardson – ha spiegato di non aver potuto usare il flash, perché altrimenti avrebbe attirato l’attenzione della polizia, che avrebbe bloccato i profughi.

Questa foto sa raccontare un istante, sa catturare la Storia. Ho cercato di commentarla in questo articolo. Come ho scritto, andrebbe appesa nelle aule dei Parlamenti nazionali e di Strasburgo, dove si fanno le leggi e si costruisce il futuro. Quello che sta cercando quel neonato fra il filo spinato in una notte d’agosto.

2 Feb 2016

Ai Weiwei: Aylan è tutti noi

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Se l’immagine che vedete vi richiama alla mente Aylan, il messaggio è giunto a destinazione. 

L’uomo riverso sulla spiaggia è Ai Weiwei, grande artista cinese, esule dal suo Paese che non sopporta la libertà. Ha voluto occupare con il proprio corpo lo spazio emotivo e morale, prima ancora che fisico, che aveva occupato Aylan. Non potete averlo dimenticato: è il bambino siriano di tre anni che è stato raccolto, come un fagotto, su una spiaggia turca qualche mese fa.

Apprezzate la scelta del bianco e nera, estetica ed etica insieme. 

Il messaggio è semplice, come lo sono le grandi verità che non vogliamo riconoscere: Aylan è tutti noi, noi siamo Aylan. Homo sum, humani nihil a me alienum puto, diceva Terenzio. Sono un uomo: niente di ciò che è umano reputo che mi sia estraneo. Ecco che cosa ci ha detto Ai Weiwei: ciascuno di noi avrebbe potuto essere al posto di Aylan, o delle migliaia di bambini morti cercando una vita migliore, o di suo padre, di sua madre, dei suoi fratelli. Se la sorte ci ha concesso un giro più fortunato, è perché possiamo dare accoglienza a chi è meno fortunato di noi.

Ai Weiwei – che si trova a Lesbo, meta degli sbarchi, per un memoriale sui migranti che hanno perso la vita e che ha sospeso una sua mostra in Danimarca per protesta contro la legge che prevede il sequestro die beni dei profughi – ammonisce che se l’Europa rinuncia ai valori della solidarietà, dell’accoglienza, della libertà tradisce se stessa. 

In questo articolo ho commentato questo gesto dell’artista cinese. 

19 Gen 2016

Jean d’Ormesson, perché l’essere anziché il nulla

Jean d'Ormesson

Jean d’Ormesson

Il mio canto di speranza (Edizioni Clichy) di Jean d’Ormesson sembra essere stato scritto come testo-pretesto per una sessione di philosophy for community. Con tono affabile e invidiabile lucidità, il “vecchio saggio” della cultura francese ha composto un racconto a tratti addirittura poetico che sgorga da una domanda antica ed eterna: perché l’essere e non il nulla?

Già, perché l’universo, anzi gli universi, i pianeti, le galassie, il sorgere della vita, la comparsa dell’uomo, fino all’edificazione della civiltà, della cultura, all’arte? Un caso? Il risultato del disegno creatore di qualche entità trascendente?

D’Ormesson compie una vera e propria passeggiata nella storia dell’universo – meglio ancora: dell’essere – e dell’umanità, sempre riportando le grandi posizioni che quell’essere pensante che è l’uomo ha assunto per spiegarlo e poi esprimendo, con garbo e convinzione, la propria personale posizione: l’essere al posto del nulla, l’uomo, il pensiero, sono il frutto di un atto divino. Per questo ha senso sperare, credere che ci sia uno scopo, una finalità al nostro essere nel mondo.

E’ ammirevole la semplicità e la serenità con cui l’autore afferma la sua posizione, mai per contrapporla a chi la pensa diversamente da lui.

La domanda originaria – perché qualcosa anziché niente -, la capacità di presentare in maniera semplice teorie scientifiche e posizioni della tradizione filosofica, l’apertura con cui espone le proprie idee, ne fanno appunto un testo eccezionale per stimolare una discussione sulle grandi questioni dell’umanità.

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Chi sono

Sono nato a Vicenza nel 1968. Mi sono laureato in Filosofia a Padova con una tesi su Martin Heidegger, poi ho frequentato il Biennio di giornalismo dell’Ifg di Milano. Sono caporedattore e responsabile del settore Cultura e spettacoli di Famiglia Cristiana. Mi sto occupando di Filosofia per bambini e per comunità (P4C). [leggi tutto…]

Preghiere selvatiche

There's a blaze of light In every word It doesn't matter which you heard The holy or the broken Hallelujah
Leonard Cohen