Elenco degli articoli in "P4C (Philosophy for children and community)"
Filosofia con i bambini a Fontanafredda
Eccoci qui con una nuova avventura di Philosophy for Children. Nei sabati di maggio (5, 12, 19 e 26), dalle 11 alle 12.30, avrò il piacere di filosofare con un gruppo di bambini-ragazzi dai 6 ai 10 anni in un luogo molti suggestivo, la tenuta Fontafredda, a Serralunga d’Alba.
Fra i vigneti e la natura delle Langhe piemontesi, Fontanafredda è una tenuta che vanta una storia antica, che rimanda addirittura al re Vittorio Emanuele II: fu lui ad acquistarla per donarla alla Bela Rosin. Successivamente viene intestata ai figli Maria Vittoria ed Emanuele Alberto Conte di Mirafiori.
Ma torniamo a noi. Qui, fra profumi di barolo, a pochi passi del bellissimo Bosco dei pensieri, vivremo un’esperienza coinvolgente. Non ci sarà nessuno a insegnare ad altri, nessuna cattedra, nessun voto (se non quelli che noi stessi vorremmo darci), ma tutti insieme ci faremo delle domande e cercheremo di darci delle risposte, imparando l’uno dall’altro e provando a pensare, a sviluppare le nostre capacità di stare insieme, a usare l’organo più affascinante che abbiamo (la mente!!!), a esprimere e difendere le nostre idee..
Il ciclo di Philosophy for Children è organizzato dalla Fondazione Mirafiore, che lo offre gratuitamente a chi voglia partecipare. A questo sito potete avere tutte le informazioni: https://www.fondazionemirafiore.it/laboratori_scuole/laboratorio-1/
Sarà emozionante conoscervi, ragazzi, e vivere questa avventura insieme. Ci faranno compagnia due amici che – lo vedrete voi stessi – sono davvero curiosi e stravanganti: Kio e Hus…
E chi lo sa, magari faremo anche qualche passeggiata, naturalmente filosofica, nel Bosco dei pensieri! Se non la facciamo noi filosofi, chi può farla?
Se siete curiosi di sapere qualcosa di più sulla Philosophy for Children, invece, date un’occhiata al mio sito: https://www.paoloperazzolo.it/laboratori-di-filosofia-per-bambini-e-ragazzi-philosophy-for-children/
Il Centro di ricerca per l’indagine filosofica riconosciuto dal Miur
Una bella notizia per la Philosophy for Children e la sua diffusione nelle scuole: il Centro di ricerca per l’indagine filosofica (Crif) è stato riconosciuto dal Miur (il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) come ente abilitato a a fornire corsi di formazione e aggiornamento dotati di crediti ECM.
Ecco come il Crif ha dato notizia dell’importante riconoscimento.
A partire dal 1° settembre, l’accreditamento del CRIF quale Ente Formativo riconosciuto dal MIUR è operativo. Questo status, oltre ad avere la valenza di riconoscimento istituzionale del lavoro e della serietà della nostra Associazione, ci permetterà di realizzare corsi di formazione e aggiornamento dotati di crediti ECM.
Gli insegnanti, inoltre, potranno utilizzare il buono della Carta del Docente (Legge 107/2015).
PROTOCOLLO D’INTESA MIUR-CRIF
Il 30 agosto scorso, il CRIF ha siglato con il MIUR un Protocollo d’Intesa triennale riguardante
l’educazione al pensiero critico e la didattica dell’inclusione.
Il MIUR e il CRIF, nel rispetto dei ruoli e delle proprie competenze, dei principi e delle scelte di
autonomia scolastica, con questo Protocollo s’impegnano, in stretta connessione con le Istituzioni
scolastiche del primo e del secondo ciclo di istruzione, a promuovere e a monitorare attività di
sperimentazione, ricerca e valutazione concernenti l’utilizzazione della pratica filosofica di comunità per lo sviluppo del pensiero complesso, nella sua articolazione critica, creativa e valoriale. Sfondo di riferimento è la costruzione di una cittadinanza attiva e inclusiva.
Sono dunque l‘educazione al pensiero critico e la didattica dell’inclusione i due grandi temi “affidati” dal Ministero dell’Istruzione al Crif.
Qui il testo del protocollo d’intesa: www.miur.gov.it/web/guest/-/protocollo-d-intesa-miur-crif
I pensieri si possono disegnare? Un laboratorio di filosofia per bambini (con metodo sperimentale)
All’ultimo Festival della mente di Sarzana, il 3 settembre scorso, con la collega teacher in Philosophy for Children (P4C) Annalisa Decarli abbiamo tenuto due laboratori di filosofia per bambini dai 5 agli 8 anni sul tema: “I pensieri si possono disegnare?”.
Di solito la Philosophy for Children si sviluppa in cicli di sessioni, perché il suo obiettivo è quello di costituire una Comunità di ricerca filosofica. Obiettivo raggiungibile solo attraverso un percorso di paziente costruzione di 1) una comunità 2) di ricerca 3) filosofica.
Tutto ciò ovviamente non è attuabile nel contesto di un festival, dove si incontrano bambini soltanto per la durata del laboratorio. Per questo, abbiamo elaborato una metodologia che, pur mantenendo saldi i principi e le finalità della P4C, si adattasse alla situazione.
Siamo partiti non con un testo, bensì con un breve filmato, due corti della Pixar: Soar e The present, che hanno svolto la funzione di pre-testi della sessione. La costruzione dell’agenda, solitamente affidata all’elaborazione di domande via via selezionate dal gruppo, è stata sostituita da un disegno individuale. La discussione, infine, è partita dalla ricerca di somiglianze e differenze fra i disegni dei bambini, disposti entrambi in modo da formare un cerchio (fin dall’inizio i partecipanti erano seduti in cerchio, come prevede la P4C). A quel punto, la discussione ha toccato i temi più imprevedibili…
E’ stata un’esperienza particolare e interessante. Chissà se questa metodologia sperimentale – pensata, lo ripeto, per la situazione straordinaria e il contesto specifico – potrà tornare utile in altre occasioni…
Laboratori di filosofia per bambini al Festival della mente: i pensieri si possono disegnare?
I pensieri si possono disegnare?
La domanda darà il titolo ai laboratori di filosofia per bambini che si terranno a Sarzana, nell’ambito del Festival della mente, domenica 3 settembre nel pomeriggio.
Che cosa si farà? I bambini vedranno prima di tutto dei video molto suggestivi: si tratta di due corti della Pixar, di forte impatto, sui quali però non posso dirvi di più per non rovinare la sorpresa a chi parteciperà…
Dopodiché i bambini, dai 5 agli 8 anni, affronteranno la sfida di tradurre i pensieri suscitati dal video in un disegno. E a questo punto partirà la discussione vera e propria, in cui ciascuno diventerà un filosofo mettendo a confronto il proprio lavoro con quello degli altri, a caccia di somiglianze e differenze.
E alla fine tutti porteranno a casa un ricordo-sorpresa da condividere con amici e genitori.
Il laboratorio è tenuto da me e da Annalisa Decarli, teacher in Philosophy for Children (Annalisa ha una grande esperienza in materia) e membri del Centro di ricerca sull’indagine filosofica (Crif).
Chi desidera ulteriori informazioni e vuole iscriversi può andare alla seguente pagine del Festival della mente: www.festivaldellamente.it/it/evento-n-60-4/
Vi aspettiamo, piccolo-grandi filosofi!
Franco Lorenzoni, un’altra scuola è possibile
Ho appena finito di leggere I bambini pensano grande (Sellerio) di Franco Lorenzoni. Franco Lorenzoni è un maestro che insegna a Giove e che ad Amelia ha fondato e dirige la Casa laboratorio Cenci, un innovativo centro educativo. Ad agosto avrò il piacere di incontrarlo per intervistarlo per Famiglia Cristiana, in vista della sua partecipazione al Festival della mente.
IL CREDO PEDAGOGICO DI FRANCO LORENZONI
L’idea educativa di Franco Lorenzoni è assai interessante e merita di essere approfondita. In una parola, si può dire che il maestro umbro ha in mente una scuola fondata sull’ascolto dei bambini, su un metodo di apprendimento basato sull’esperienza e sul dialogo e sull’approfondimento multidisciplinare, in modo da sostare a lungo su un argomento anziché correre su tanti argomenti per svolgere un programma calato dall’alto.
LA PHILOSOPHY FOR CHILDREN E IL METODO DI FRANCO LORENZONI
Qui mi vorrei soffermare sulle profonde affinità che sussistono fra il metodo pedagogico di Lorenzoni e la mia grande passione, la Filosofia per bambini (Philosophy for Children p P4C).
Ecco, schematicamente, le convergenze:
- l’ascolto dei bambini (nella P4C è uno dei cardini, tanto che sono loro stessi, come comunità, a decidere di che cosa occuparsi, in base agli interessi e ai bisogni del momento)
- il dialogo (è l’essenza di ogni filosofare)
- il lavorare in cerchio (il setting ha la sua non trascurabile importanza)
- la dimensione comunitaria: ogni singolo lavora nel confronto costante con gli altri
- il preoccuparsi di insistere su un argomento fino a che i bambini ne sentono il bisogno, anziché passare ad altro per soddisfare richieste esterne
- il ruolo dell’esperienza: nella P4C è anzitutto il vissuto dei bambini a diventare protagonista
Il credo di Lorenzoni e della P4C coincidono soprattutto laddove si prefiggono, come obiettivo primario, la crescita della persona intesa in modo complessivo, lo sviluppo del pensiero critico, della capacità di ascolto, di confronto con il diverso, di elaborare ed esprimere un’opinione argomentata.
La società e chiunque abbia a cuore il futuro del Paese hanno il dovere di ascoltare questo lavoro, per costruire una scuola più accogliente, più vera,. più intensa, più istruttiva, capace di creare persone migliori.
Palle di neve: la guerra non è divertente
Consiglio a educatori, genitori, insegnanti e, perché no?, facilitatori di P4C con i ragazzi: guardate Palle di neve, un delizioso film di animazione nelle sale in questi giorni, ricco di spunti di riflessione e per discutere filosoficamente.
Se cercate una recensione completa al film, vi prego di cliccare su questa frase. Qui voglio aggiungere qualche considerazione. La prima è che l’animazione francese sta mettendo a segno dei colpi notevoli, ritagliandosi uno spazio rilevante fra i giganti americani (Dreamworks, Disney…). Cito ad esempio Ernest e Celestine di qualche anno fa, ora questo magnifico Palle di neve, la settimana prossima – e avremo modo di riparlarne – La mia vita da zucchina…
La seconda considerazione aggiuntiva è che i film destinati a piccoli e ragazzi non solo stanno raggiungendo risultati estetici e tecnici spettacolari, ma stanno accentuando anche la loro componente educativa, pedagogica. E’ come se i produttori si fossero resi conto di avere un compito e dei doveri specifici nell’educazione dei giovani, soprattutto in virtù della presa che esercitano su di loro.
Non è una novità, d’accordo: si può dire che il cinema per l’infanzia e d’animazione fin dall’inizio abbia riconosciuto questa sua missione, senza la quale persltro non avrebbe mai ottenuto un tale successo. Però l’insistenza, la competenza (pensate allo studio psicologico messo in atto da un film come Inside Out) e la freschezza del linguaggio con cui sanno assolvere questo compito sono una apprezzabile novità di questi ultimi anni.
E adesso godetevi almeno il trailer di Palle di neve.
Marco Martinelli porta “Aristofane a Scampia”
Ho appena finito di leggere un libro bello e commovente che, tra le altre cose, può a mio avviso interessare chi si occupa di Philosohy for Children (P4C). Si tratta di Aristofane a Scampia di Marco Martinelli (Ponte alle Grazie).
Molto brevemente, dirò che l’autore, regista drammaturgo e attore fra i più interessanti della scena teatrale contemporanea, ha fondato 25 anni fa a Ravenna la non-scuola, esportandola poi in tutta Italia – con una predilezione per i quartieri a rischio, come Scampia a Napoli – e addirittura nel mondo.
La non-scuola è un modo per coinvolgere attivamente i ragazzi (di solito fra i 14 e i 18 anni) attraverso il teatro, di renderli protagonisti con la recitazione. Avviene una sorta di miracoloso sfregamento fra la generazione i-phone e i grandi classici del teatro. Con esiti sorprendenti a dir poco. Per saperne di più, leggete il libro e, prossimamente sa Famiglia Cristiana, l’intervista a Martinelli.
Qui voglio solo sottolineare un aspetto del metodo della non-scuola assai interessante in sé e per le affinità, forse non immediate ma profonde, con il metodo della Philosophy for Children.
Martinelli spiega che accostare i giovani di oggi ai classici non è ovviamente un’operazione facile. Ci vogliono intelligenza e furbizia perché l’incontro dia buoni frutti. Tale intelligenza e furbizia si realizzano nel trovare, al di là del testo, oltre le parole ufficiali del testo, quel fuoco che le he generate, quel “rovello”, lo definisce, da cui è scaturito il capolavoro. Bisogna insomma fare una sorta di immersione dentro e sotto le parole per scovare i sentimenti, la scintilla originaria che si è impossessata del loro autore e lo ha “costretto” a creare quell’opera. Il lavoro drammaturgico della non scuola si risolve in una indagine comunitaria sul senso autentico di quelle parole, in modo da farle rivivere in tutta la loro potenza re-interpretandole. Ecco allora che l’improvvisazione e l’uso dei dialetti non solo è consentita, ma auspicata.
Ecco le parole di Martinelli, che mi permetto di riportare.
“La non-scuola non si chiamava così, ma esisteva già dal ’91, quando alle Albe venne assegnata la direzione del Rasi. Marco e Maurizio Lupinelli cominciarono a tenere dei laboratori teatrali nei licei. All’inizio vi parteciparono solo quaranta studenti, che poi per contagio, anno dopo anno, divennero dieci volte tanti, coinvolgendo tutte le scuole della città.
Non andavamo a insegnare. Il teatro non si insegna. Andavamo a giocare, a sudare insieme. Come giocano i bambini su un campetto da calcio, senza schemi né divise, per il puro piacere del gioco, come capita ormai di vederli solamente in Africa, a piedi nudi sulla sabbia, o nel sud d’Italia: al nord è raro, i più sono irrigimentati a copiare il calcio dei “grandi”, soldi e televisione. In quel piacere ci sono una purezza e un sentimento del mondo che nessun campionato miliardario può dare. La felicità del corpo vivo, la corsa, le cadute, la terra sotto i piedi, il sole, i corpi accaldati dei compagni, l’essere insieme, orda, squadra, coro, comunità, la sfera-mondo che volteggia e per magia finisce dentro la rete.
Scuola e teatro sono stranieri l’uno all’altra, e il loro accoppiamento è naturalmente mostruoso. Il teatro è una palestra di umanità selvatica e ribaltata, di eccessi e misura, dove si diventa quello che non si è; la scuola è il grande teatro della gerarchia e dell’imparare per tempo a essere società. Quando Cristina Ventrucci parlò di non-scuola, la definizione fu accolta senza discussioni. Il gioco è ancora oggi l’amorevole massacro della Tradizione. Non “mettere in scena”, ma “mettere in vita” i testi antichi: resuscitare Aristofane, non recitarlo. La tecnica della resurrezione parte dal fare a pezzi, disossare.
Adolescenti e Tradizione: i Senza Parole e la Biblioteca. Qui c’è un lampo, due legni che si sfregano. Prendi un testo, e guardalo sotto: là sotto, sotto le parole, c’è qualcosa che le parole da sole non dicono. Là sotto c’è il rovello che lo ha generato. Ci restano le parole, mentre quel rovello viene dimenticato. Se non sai penetrare quel sotto, quella luce giù in basso, le parole restano buie. Il testo cela un segreto che può accendere la Vita, che l’autore (il vivente, non il cadaverino del museo!) ha sapientemente nascosto secoli fa nelle parole della favola: la non-scuola mette in relazione quel segreto e gli adolescenti, proprio quelli, quelli e non altri, quelle facce, quel dialetto ringhiato tra i denti, quei sospiri, quel linguaggio di gesti, quei sogni, quei fumetti. Per realizzare l’incontro c’è bisogno, in una prima fase, di svuotare il testo, perché i dialoghi sono all’inizio un impedimento autoritario che va spazzato via. Fatto a pezzi il monumento, si riparte dal gioco d’improvvisazione che i teatranti propongono agli adolescenti, gioco che consiste nel dare nuova vita alle strutture drammaturgiche del testo. L’improvvisazione crea una partitura di frasi, di gesti, di musiche, sulla quale sarà possibile innestare, in un secondo momento, le parole dell’autore, e non tutte, solo quelle che servono. E sarà una sorpresa accorgersi che le parole rifiutate all’inizio, una volta creato un campo di verità sul quale trapiantarle, diventeranno splendenti.
Andare verso la luce, là sotto, al sotto che illumina. E un controsenso, ma non per i patafisici. La luce è sotto? Nel buio, come le radici sottoterra? Sono adolescenti, sono dei nessuno. Per questo traboccano di genio! La Tradizione non dice un bel nulla a questi nessuno, che prima la guardano con sospetto poi le fanno l’onore di rimetterla in vita, la gratificano di un amplesso: la non-scuola gode a vedere l’impatto devastante e fecondo tra i morti e i vivi.
Le “vite immaginarie” degli autori esibiscono spesso il rovello e le battaglie che hanno partorito le loro favole teatrali. Immaginarsi gli autori da adolescenti, immaginarseli quando erano dei nessuno. Aristofane diciassettenne che scrive la sua prima commedia contro la guerra. Molière che abbandona la casa paterna e fa la gavetta in provincia. Rosvita che arrossisce e si ispira alle pagine di Terenzio. Büchner rivoluzionario fallito. Goldoni che scappa sulla barca dei comici, Bruno che scappa dal convento, non respira.
Bando alla psicologia! Nella non-scuola si recita come marionette, le fantasie sono puri moti fisici, i sentimenti sono impulsi teatrali.
La non-scuola è il campo da calcio di una squadra che gioca per passione, ignora il denaro e la gloria. Mescola alla luce del sole adolescenti e teatranti, i quali, in quella purezza-impura, trovano motivi di rigenerazione. Per quei nessuno, per i Senza Parole, i teatranti sono a loro volta dei nessuno che si divertono.
Le tecniche sono nel gioco, incarnate. Abitano il fare. I ragazzi le assumono come regole necessarie, nel divertimento e nella fatica che costa “saper giocare bene”. E il giocare porta alla partita! Alla partita con il pubblico, allo stesso tempo avversario e amante, turbolento come nell’Atene di Aristofane. Ogni gruppo conclude il proprio lavoro con uno spettacolo, una serata unica: il Rasi si riempie per la “prima” e “ultima”, non si danno repliche, è un rito di iniziazione. I 400 studenti che ogni anno salgono sul palco, i 5.000 che ogni anno arrivano per applaudire, chiamar per nome, sbeffeggiare, osannare, rappresentano insieme l’energia della polis (i “poli”, i “molti”) che irrompe in teatro. E una presenza sporca, volgare, è “volgo” che invade il teatro, dentro e fuori la scena. L’esito è barbaro e fertile. Le oscenità di Aristofane prendono senso sulle bocche dei quindicenni, sembrano scritte ieri, anzi adesso, e ci ricordano che quei testi, inascoltabili sui palcoscenici degli impiegati puntuali alla loro battuta, sono testi dell’infanzia del teatro, e che per restituirli all’oggi, lasciandone intatta la carica ludica e trasgressiva, bisogna essere infanzia. I satiri di Sofocle vengono impugnati senza bisogno di filologia, partendo dalla propria condizione di satiri di periferia. L’erotismo delle coppie di Marivaux e Shakespeare si incontra con il timido furore amoroso di quelle età di mezzo […].” (Marco Martinelli e Ermanna Montanari, L’Apocalisse del molto comune, in Jarry 2000, Ubulibri, 2000).
Trovo questa descrizione del metodo della non-scuola straordinaria.
E dove vedo le affinità con la Philosohy for Children?
Ad esempio nel fatto che protagonista è sempre una comunità. Nel fatto che tale comunità si configura come comunità di ricerca: nella P4C tenta di rispondere alle domande con gli strumenti della logica e della filosofia, nella non-scuola con il linguaggio del teatro. E quel cercare il rovello originario dell’autore del classico non assomiglia all’affidarsi al Pensiero, al farsi guidare da esso nella ricerca della verità? E in quello scavare sotto e oltre le parole non si ripete lo sforzo inesausto della filosofia e della P4C di interrogare il reale oltre le apparenze e i pre-giudizi consolidati?
Per non dire poi del fatto che protagonisti sono i ragazzi con le loro forze; che non esiste un insegnante che trasmette delle verità o anche solo dei contenuti, ma un “facilitatore” che compie egli stesso questo tragitto insieme ai ragazzi; che il rispetto di una serie di regole di convivenza democratica diventa spontaneamente necessario per svolgere entrambe le attività; che l’individuo mette al servizio della collettività il suo talento personale, in nome di un progetto comune…
Philosophy for Children (P4C), un’esperienza (bella e impegnativa)
Fra gennaio e aprile ho tenuto presso la scuola primaria di Barbaiana (Lainate) un ciclo di sessioni di Philosophy for Children (P4C): complessivamente 39 sessioni distribuite fra le classi prime, terse e quarte.
E’ stata un’esperienza bella e impegnativa.
Qui sotto riporto la restituzione che ho inviato alle insegnanti al termine di questa avventura.
Relazione sul ciclo di sessioni di Filosofia per bambini alla Scuola primaria di via Cairoli di Barbaina (Lainate)
Gentili maestre,
al termine del ciclo di sessioni di Filosofia per bambini (P4C) svolte presso la vostra scuola, il mio primo pensiero è di gratitudine e ringraziamento a voi tutte, per aver colto le potenzialità formative della proposta e per averla concretamente resa possibile durante l’orario scolastico. Lavorando accanto a voi, sia pur per un breve tratto, ho potuto apprezzare l’impegno e la dedizione con la quale seguite quotidianamente i bambini che vi sono stati affidati.
IL PROGETTO
Il ciclo di Filosofia per bambini (P4C) si è sviluppato in 39 sessioni complessive, ciascuna della durata di un’ora. La prima fase, fra gennaio a febbraio, ha coinvolto 2 Quarte e 2 Terze, con un percorso di 6 sessioni per ogni classe. La seconda fase, fra marzo e aprile, ha coinvolto 3 Prime, con un percorso di 5 sessioni per ogni classe.
Gli obiettivi – come ricorderete dalla proposta presentata alla fine dell’anno scorso – erano di due ordini: socio-relazionali e logico-intellettivi. In ambito socio-relazionale, lo svolgimento delle attività mirava a stimolare i ragazzi al lavoro di gruppo, al confronto, alla mediazione, al rispetto delle regole, all’ascolto. In ambito logico-intellettivo, invece, il lavoro svolto puntava a sviluppare la capacità di analisi e di sintesi, di induzione e deduzione, di formulazione delle domande, di ragionamento causale, di istituire relazioni, di stabilire analogie e differenze, di spiegare il proprio punto di vista e di rivederlo alla luce del confronto.
I testi utilizzati sono stati i seguenti: L’ospedale delle bambole di Ann Margaret Sharp e Elfie di Matthew Lipman per le Prime, Kio e Gus di Matthew Lipman per le Terze e Pixie di Matthew Lipman per le Quarte (tutti i testi sono editi da Liguori nella collana “Impariamo a pensare”).
Tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso sessioni articolate in diversi momenti.
IL SETTING
Era fondamentale che i bambini fossero disposti in cerchio, non di fronte al facilitatore, perché non si dovevano mettere in atto lezioni di filosofia, bensì fare filosofia con i bambini. Protagonisti dovevano essere i bambini, non “il maestro”, al quale toccava invece appunto un ruolo di “facilitatore”.
L’aver svolto la prima fase delle sessioni con le Terze e le Quarte in un’aula dedicata, ampia, in cui ogni bambino poteva godere del proprio spazio, è stato sicuramente un vantaggio. Con le Prime, parte delle sessioni sono state svolte in classe, parte nella piccola saletta collocata lungo il corridoio. Le condizioni erano indubbiamente meno favorevoli, sia perché i bambini godevano di meno spazio, sia perché il tempo di preparazione del cerchio di sedie richiedeva del tempo, ma le sessioni si sono comunque svolte tutte regolarmente.
LA PRIMA SESSIONE
Nella filosofia per bambini il primo incontro ha una funzione regolativa, si tratta cioè di invitare il gruppo a stabilire le regole alle quali intende attenersi per rendere possibile lo svolgimento dell’incontro stesso.
Avendo trovato un livello di disciplina piuttosto avanzato, in alcune Terze e Quarte non è stato necessario realizzare questa fase. Con altre classi, dove si era saltato in un primo momento questo momento presupponendo la stessa consuetudine alle regole, è stato necessario farvi ritorno più avanti. Con le Prime, parte del primo incontro è stato dedicato alla definizione delle regole. Nel corso dello svolgimento delle sessioni, sono state richiamate più volte come un patto che era stato stipulato dalla comunità per rendere possibile l’attività.
GLI ESERCIZI FILOSOFICI
Avevano la funzione di introdurre all’attività filosofica i maniera ludica. Si è cercato di proporre una serie di esercizi che richiedessero progressivamente un maggior impegno logico-critico. Così, si è partiti con attività più fisiche (come l’esercizio send your claps) o più legate a qualcosa di concreto (il disegno alla lavagna) per approdare ad attività più astratte sul linguaggio (i cerchi dello sviluppo concettuale) o sulle regole logiche (se… allora…).
I bambini hanno mostrato di gradire molto questo tipo di attività e hanno partecipato con entusiasmo, tanto da dilatare a volte il tempo che le doveva essere riservato. Dopo qualche segno di disorientamento, nella maggior parte dei casi hanno mostrato di comprendere il senso dell’attività e di essere in grado di impadronirsi dei meccanismi filosofici che lo regolavano. Tale è stato il successo di questo momento che, soprattutto con le Prime, ho avuto la tentazione di dedicare qualche intera sessioni agli esercizi filosofici.
LA LETTURA COMUNITARIA
La lettura collettiva, a turno, dei testi narrativi aveva la funzione di creare comunità fra i partecipanti e di condividere un campo tematico sui cui innestare la discussione.
Con le Terze e le Quarte è stato possibile far leggere i ragazzi, nelle Prime si è preferito che la lettura venisse affidata al facilitatore. In generale, i bambini hanno mostrato molto interesse per le storie narrate, confermando di “subire” la fascinazione del racconto.
LA FORMULAZIONE DELLE DOMANDE IN PICCOLI GRUPPI
I bambini erano chiamati a esaminare il testo letto-ascoltato cercando di individuare una domanda che li aveva intrigati e sollecitati, affinché diventasse il tema comunitario della sessione. Era fondamentale che ogni gruppetto di 4-5 elementi giungesse a selezionare una sola domanda, mediando fra le diverse domande emerse. Così come la scelta del “portavoce” aveva lo scopo di stimolare all’interno del gruppetto il confronto per affidare il compito a un compagno.
Nelle prime sessioni i ragazzi hanno mostrato – come era naturale – un certo disorientamento per un compito forse per loro insolito. Già dalla seconda-terza sessione, le Terze e le Quarte hanno “capito il gioco”. Con le Prime è stato necessario attendere un po’ di più, ma i risultati sono arrivati.
A volte sono state formulate domande a prima vista strampalate, che suscitavano il sorriso, altre domande di assoluta dignità filosofica. Sottolineo però che nessuna domanda è, in realtà, inopportuna o sbagliata, perché dà voce – seppure in maniera incompiuta e lacunosa – agli interrogativi risuonati all’interno della persona.
Nei gruppi non di rado nasceva il problema di dover eliminare alcune domande, così come quello di dover scegliere un solo portavoce. I ragazzi sono stati sempre invitati, in queste situazioni, a giungere “democraticamente” a una soluzione condivisa, diventando consapevoli che un accordo generale prevede che qualcuno metta da parte le sue pretese. In una sessione, le modalità attraverso le quali giungere a un accorso, in presenza di un disaccordo in apparenza inconciliabile, sono divenute oggetto di discussione pubblica, arrivando a indicare alcune possibili soluzioni estremamente interessanti.
LA FORMAZIONE DELL’AGENDA
Le domande dei singoli gruppi venivano condivise con la comunità trascrivendole sulla lavagna. Ogni bambino, individualmente, aveva poi la possibilità di esprimere una personale adesione alla domanda di un altro gruppo. L’obiettivo era di favorire il massimo coinvolgimento del gruppo.
Talvolta, come naturale, l’adesione era un modo per compiacere l’amico o il compagno più “forte”. Col tempo, tale opzione dovrebbe esprimere la scelta di un tema per il quale si prova un autentico interesse di approfondimento.
LA SCELTA DEL PIANO DI DISCUSSIONE
Finalmente il gruppo arrivava a scegliere la domanda sulla quale voleva discutere. Non prima, però, di aver fatto un lavoro di analisi delle domande, invitando a individuare le piste euristiche in esse contenute (perché?, chi?, come?…), i protagonisti in campo, analogie e differenze, possibilità di raggruppare e classificare alcuni quesiti in base ai temi-concetti fra di loro.
Dopo la prima sessione, i bambini si lanciavano spontaneamente in questa attività, spesso cogliendo aspetti “superficiali” (la ripetizione di una singola parola, ad esempio), in altri casi cogliendo affinità concettuali più profonde.
LA DISCUSSIONE
Tutte le attività fin qui svolte costituivano già una forma di “filosofia con i bambini”, tuttavia la sessione entrava propriamente nel cuore della sessione con la discussione sulla domanda scelta dal gruppo.
Sono moltissimi gli elementi da sottolineare relativamente a questa fase. Provo a indicare schematicamente i principali:
imparare a parlare solo quando era il proprio turno
imparare ad ascoltare gli altri
imparare a formulare linguisticamente il proprio pensiero
intervenire per esprimere il proprio accordo o disaccordo
acquisire la capacità di dare ragione del proprio pensiero: chiunque interveniva veniva invitato a spiegare le ragioni della sua posizione, a non limitarsi a dire “io penso che…”, ma “io penso che… perché…”. Si richiedeva così uno sforzo per applicare i principi dell’inferenza e dei nessi causali
indicare degli esempi concreti di ciò che si sostiene
Considero fra gli esiti più rilevanti del ciclo di sessioni il fatto che molti bambini abbiano gradualmente acquisito la consapevolezza di dover dare conto delle proprie idee e che si siano sforzati di fornire le ragioni della loro opinione. Allo stesso modo, è stato molto significativo che alcuni bambini (quelli più maturi dal punto di vista filosofico) abbiano esplicitamente riconosciuto la loro difficoltà a 1) esprimere con chiarezza la loro idea e ad 2) argomentarla in maniera convincente. La maturazione di questa consapevolezza è uno degli obiettivi fondamentali del fare filosofia con i bambini, in quanto costituisce la presa d’atto del “so di non sapere” dal quale soltanto può nascere l’interrogazione filosofica e la ricerca del sapere.
L’AUTOVALUTAZIONE
L’idea decisiva è che non è il prof, ma la comunità stessa che si giudica da sé.
Spesso i bambini, soprattutto quelli più piccoli, hanno trasformato questo momento in un gioco, per questo sono stati invitati a fare lo sforzo di rivedere il lavoro svolto con un atteggiamento critico e onesto. In alcuni casi ci siamo riusciti (e così sono stati proposti diversi dal solito “10 e lode” o “bellissimo”), in altri meno, ma l’essenziale è aver suggerito la necessità di rivedere criticamente il proprio lavoro.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Ogni sessione (come ogni classe e ogni bambino) è una storia a sé, dagli sviluppi imprevedibili, per cui risulta difficile dare una valutazione generale, tanto più che erano interessati bambini di età diverse, quindi con un percorso scolastico ben diverso.
Ovviamente alcune sessioni sono state più fluide, altre più faticose. Con i bambini di Terza e di Quarta, più abituati alla disciplina e al lavoro, sono state numerose le sessioni che hanno prodotto risultati apprezzabili. Il lavoro con le Prime puntava inevitabilmente a creare un terreno, delle condizioni preliminari affinché fosse possibile in una fase successiva svolgere un’attività del genere.
Posso comunque dire con convinzione che non c’è stata una sola sessione, incluse quelle più problematiche per “il rumore di fondo”, in cui non sia emersa almeno un’idea, un’intuizione, una metafora, un’idea valida: in ogni incontro c’è stato almeno un momento in cui il pensiero critico insito in ogni persona si è affacciato.
La partecipazione, a mio avviso, è stata davvero elevata.
Rispetto agli obiettivi socio-relazionali, mi sembra che il lavoro svolto abbia rafforzato lo sforzo che voi maestre conducete giorno per giorno di rispettare gli altri, di imparare ad ascoltarli, di avere la pazienza di attendere il proprio turno, di partecipare al lavoro di gruppo, di mettere da parte il proprio sé in funzione di un progetto comunitario, di mediare fra le proprie esigenze e quelle degli altri.
Rispetto agli obiettivi logico-intellettivi, si sono manifestati in maniera percepibile progressi, chiaramente diversi da persona a persona, oltre che da classe a classe. Molti bambini sono cresciuti nella capacità di chiarire a se stessi il proprio pensiero e quindi di esprimerlo in maniera comprensibile agli altri. E’ maturata la consapevolezza che non basta dire genericamente “io penso così” o “sono d’accordo/non sono d’accordo”, senza dare le ragioni della propria posizione. Abbiamo assistito al tentativo di tanti bambini di argomentare il proprio pensiero. In questo senso l’alunno è stato stimolato a cercare le prove, gli indizi, dai quali inferire le proprie conclusioni. Si è risvegliata l’attitudine alla domanda (e alla meraviglia così centrale nella tradizione filosofica) e incoraggiata l’attitudine a interrogare gli altri, le parole, i fatti, i racconti per coglierne il senso al di là delle apparenze immediate. Il pensiero dei bambini è stato spesso riformulato affinché potesse correggersi per rispettare i principi logici di base.
E’ chiaro che in un percorso così limitato nel tempo è stato possibile far germogliare solo in maniera embrionale il pensiero critico nella mente dei ragazzi. Per sviluppare i processi avviati e consolidarli, sarebbe necessario un progetto di più lunga durata.
Tuttavia la filosofia per bambini non è un percorso avulso dal percorso scolastico che i bambini conducono normalmente durante l’anno scolastico, ma, al contrario, li aiuta a “pensare nelle discipline” che giorno per giorno affrontano in classe insieme a voi maestre. In altre parole, la filosofia infonde nelle cosiddette abilità di base – leggere, scrivere, parlare, ascoltare – un bagaglio di disposizioni critiche. Una volta che tali disposizioni critiche avranno informato le abilità di base, i bambini dovrebbero importarle autonomamente nelle diverse discipline che incontrano a scuola (italiano, matematica, scienze, storia, geografia…).
Concludo questa relazione ringraziando ancora una volta e singolarmente ciascuna di voi maestre per la disponibilità al progetto, l’accoglienza che avete riservato al sottoscritto e la preziosa collaborazione.
Per me è stata un’esperienza molto bella e fruttuosa, anche se impegnativa. La speranza è di aver sostenuto anche in maniera infinitesimale il vostro lavoro e, soprattutto, di aver acceso qualche piccola luce nelle menti e nei cuori dei bambini.
Attraverso di voi abbraccio idealmente uno ad uno i bambini che ho conosciuto: li poterò a lungo dentro di me.
Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento e, per quanto possibile, per una relazione più mirata sulla vostra classe.
Paolo Perazzolo
Hannah Arendt e la banalità del male per la P4C
Fra chi si occupa di Philosophy for Children and Community è sempre vivo il dibattito sul testo-pretesto, ovvero sul testo che viene condiviso dalla comunità e sul quale si innesta poi la discussione filosofica. In precedenza ho indicato come alcune pagine di Javier Marías si prestino perfettamente allo scopo. La letteratura, in generale, se bene selezionata e di qualità, fornisce abbondante materiale in grado di assolvere a questa funzione.
Non solo la letteratura, però. Anche il cinema. Qui voglio ad esempio indicare il film che Margarethe Von Trotta ha dedicato ad Hannah Arendt e in particolare sul reportage che lei elaborò dal processo ad Adolf Eichmann, dal quale scaturì il noto concetto di “banalità del male”.
Ecco il trailer del film.
In particolare, mi pare stimolante per avviare un confronto il discorso con cui l’allieva di Heidegger si difende allorché viene accusata dai dirigenti universitari di giustificare il male con la sua teoria. Le parole che usa toccano corde profonde e saprebbero senza dubbio suscitare una discussione profonda e proficua.
Provate ad ascoltarlo.
Pensieri filosofici di una mamma
Di recente mi sono imbattuto in un libro che incontra diversi dei miei interessi: la filosofia in generale, l’insegnamento della filosofia ai bambini, il rapporto fra filosofia e vita, ovvero l’applicazione della filosofia alla vita, il rapporto fra genitore e figlio…
Si tratta di Esercizi di meraviglia. Fare la mamma con filosofia di Vittoria Baruffaldi, pubblicato da Einaudi. In questo articolo ho presentato e analizzato i temi principali del libro.
L’autrice insegna filosofia in un liceo ed è diventata mamma. È esattamente l’esempio vivente di come filosofia ed esistenza non solo possano, ma anche “debbano” incontrarsi, per fecondarsi a vicenda.
Mi è ovviamente impossibile mettermi nei panni di una donna che ha in grembo un bambino: di certo, la vita che nasce accresce, vorrei dire quasi esaspera la nostra attitudine filosofica, perché ci riporta in quella condizione incantata in cui tutto ci appare meraviglioso, come se lo vedessimo per la prima volta.
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