Elenco degli articoli in "Storie (Letteratura)"
Una recensione su Jon Fosse…
Se cercate una recensione sul lavoro letterario (non teatrale) più importante di Jon Fosse, Nobel per la letteratura 2023, vi rimando a un mio pezzo pubblicato su Famigliacristiana.it.Si intitola L’altro nome ed fa parte dell’opera-mondo Settologia.
E domani nella battaglia penserò a te
Caro Javier Marías, mi manchi già.
Sei scomparso solo da qualche giorno, ma sento che qualcosa di bello e unico se n’è andato e non tornerà più.
Sono sincero: provo dolore per la tua sorte personale e per la sofferenza che la tua morte ha provocato ai tuoi cari, ma, egoisticamente, è soprattutto il pensiero dei libri che non potrai mai più scrivere a gettarmi nello sconforto.
Ti devo ringraziare: mi hai regalato grandi gioie con i tuoi romanzi, con quel modo di raccontare senza fretta che scavava e scavava nei personaggi, con quel tuo filosofare assieme ai tuoi personaggi, con quel tuo dipingere affreschi esistenziali di cui si coglieva la grandezza solo a lettura ultimata…
Ho letto che forse Berta Isla e Tomás Nevinson avrebbero avuto un seguito: se per caso un giorno ci incontreremo in paradiso, me lo racconterai?
C’era una volta l’America (però non come ce l’hanno raccontata loro…)
The 1619 Project è una grande iniziativa editoriale del New York Times: scrittori, storici, giornalisti si sono prefissi l’obiettivo di riscrivere la storia degli Stati Uniti senza omettere, anzi mettendo al centro, come evento fondativo, la riduzione in schiavitù degli africani. Il 1619 è appunto l’anno della prima vendita degli schiavi africani ai coloni americani. La convinzione è che la straordinaria crescita economica del nuovo Paese e quindi il modello vincente del capitalismo poggino le loro basi, e la loro fortuna, sulla manodopera ridotta appunto in schiavitù, quindi a costo zero o quasi. Ricordiamo che la schiavitù negli Usa fu abolita solo nel 1865.
Con l’aiuto della letteratura, che spesso arriva in anticipo sulle inchieste giudiziarie, giornalistiche e storiche, dobbiamo prendere atto che la storia degli Stati Uniti trae le sue origini da due colossali ingiustizie.
La prima è quella su cui indaga il New York Times e che abbiamo appena ricordato. Per trovare materiale e conferme, basta leggere l’opera di Toni Morrison, la grande scrittrice afroamericana Nobel per la letteratura, scomparsa qualche settimana fa. Oppure i romanzi di Colson Whitehead, in particolare La ferrovia sotterranea o I ragazzi della Nichel, in uscita il 3 settembre (ho avuto la possibilità di leggerlo in bozze e la mia recensione comparirà come al solito su Famiglia Cristiana: un libro stupendo).
Tuttavia all’origine della storia e del successo degli Stati Uniti non c’è solo la schiavitù degli africani all’origine della storia e del successo Usa, c’è un’altra ferita che tende ad essere rimossa: il furto della terra e il massacro sistematico di chi in quelle terre già viveva, i cosiddetti nativi americani, a partire dal XV secolo fino al XX. Un autentico genocidio, che viene rievocato molto raramente. Su questo aspetto fondativo degli Stati Uniti – la terra e tutte le ricchezze relative se le sono procurata così – raccomando la lettura di Il figlio di Philipp Meyer, un capolavoro che racconta la storia di una famiglia nel Texas, dalla conquista sanguinosa della terra all’industria petrolifera.
È encomiabile il progetto del New York Times, ricordato da un articolo su la Repubblica di oggi. C’era una volta in America, ma non come ce l’hanno raccontato fino a oggi.
M – Il figlio del secolo, un romanzo da non perdere
Avrete sentito parlare di M – Il figlio del secolo, il “romanzo” di Antonio Scurati edito da Bompiani dedicato a Mussolini. E vi sarà giunta notizia anche della strigliata di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera, dovuta ad alcuni grossolani errori storici, peraltro non visti da molti altri che avevano letto il libro prima di lui.
Quello che mi preme dire è che M – Il figlio del secolo è comunque un romanzo fondamentale, da non perdere, con cui è necessario misurarsi. Il libro ricostruisce la vita di Mussolini, dei personaggi che gravitavano attorno a lui e della vita italiana fra il 1919 e il 1924, praticamente fino all’indomani del delitto Matteotti.
Una ricostruzione minuziosa, dettagliatissima, basata su numerose fonti storiche; 850 pagine che scorrono coinvolgenti e appassionanti come un romanzo.
Perché, non è un romanzo, può chiedere qualcuno?
La questione va spiegata. M -Il figlio del secolo si presenta come un romanzo, ma ha le sembianze di una cronaca giornalistica o storiografica di ciò che accadde nei giorni in cui nacque il fascismo e conquistò il potere. Dunque alla base sta una impressionante ricerca storica, elaborata, poi, per così dire, da Scurati per trasformarla in romanzo. Il quale, proprio per la sua genesi, mantiene però un forte verosimiglianza con la realtà.
Sui contenuti del libro, le analogie con il presente e soprattutto le ragioni per cui Mussolini fu davvero il figlio del secolo mi soffermo nella recensione che uscirà giovedì prossimo su Famiglia Cristiana.
Concludo riaffermando l’importanza di questa operazione culturale, che potrebbe rivelarsi di grande utilità anche per gli studenti impegnati ad approfondire quel periodo storico.
Premio Vigevano, la terna dei finalisti
Il 29 maggio scorso, alla Biblioteca di Vigevano, si è tenuta la riunione della giuria tecnica del Premio letterario nazionale della città.
Faccio parte della giuria tecnica insieme al professore Ermanno Paccagnini, all’editor Laura Lepri e al collega giornalista Gigi Mascheroni. Tra i numerosi libri candidati al premio dalle case editrici, abbiamo scelto questa terna:
- Laura Pariani, Di ferro e d’acciaio, NN
- Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli
- Luca Saltini, Una piccola fedeltà, Giunti
Siamo convinti che si tratti di un terzetto di romanzi di assoluto rispetto, in cui la qualità letteraria – il nostro primario criterio di riferimento e di selezione – è elevata.
Se cercate consigli su qualche buon libro da leggere, che non vi lascia delusi, vi propongo dunque questi tre titoli. Mi direte che cosa ne pensate, se l’indicazione è stata valida.
Per sapere chi sarà il vincitore, decretato come sempre dalla giuria popolare, vi rimando alla serata finale del Premio letterario nazionale città di Vigevano del prossimo 20 ottobre.
L’ultima stagione di Don Robertson
Alla fine del 2017 vi avevo segnalato un romanzo originale e bellissimo, Lincoln nel Bardo, e già vi devo segnalare un altro romanzo da non perdere, un autentico capolavoro : L’ultima stagione di Don Robertson, che Nutrimenti sta facendo meritatamente conoscere al pubblico italiano. Seicento pagine tradotte magistralmente da Nicola Manuppelli che si vorrebbe non finissero mai.
Dunque, una coppia di anziani, Howard e Anne, decide di fare un viaggio, senza alcuna meta, con l’obiettivo di comprendere la struttura. Con questa parola l’uomo – a cui si deve l’idea – intende il senso, il significato della nostra esistenza e sotteso ai tanti eventi che la caratterizzano.
Anne è gravemente malata, ormai non le resta molto da vivere, ma asseconda volentieri il bizzarro progetto del marito, in compagnia del loro caro gatto Sinclair.
Don Robertson alterna il racconto in terza persona del presente, quindi di questo viaggio, al diario in prima persona che Howard tiene, di nascosto dalla moglie, grazie al quale riaffiorano gli eventi salienti del passato, di lui, della moglie, della coppia, dei figli, delle loro famiglie…
Riassumere gli incontri, gli avvenimenti, gli episodi che accadranno non avrebbe senso. Basti dire che nuclei centrali del passato, ma in fondo anche del presente, saranno il ricordo dei due figli maschi della coppia e la storia del loro amore.
Il filo che collega tutti i personaggi e i fatti narrati in L’ultima stagione è la profonda umanità che ci rende tutti simili, il dolore che ciascuno ha dovuto affrontare, il modo con cui ha reagito alle avversità, l’amore che ha messo in gioco…
Don Robertson è uno scrittore superbo con una sensibilità raffinata per i dialoghi e il lettore si lascia avvolgere dalla sua narrazione empatica e fluida.
Troveranno Howard e Anne, nel loro ultimo viaggio, la risposta alla loro domanda? Capiranno che cos’è la struttura? Il percorso, interiore prima ancora che fisico che avranno compiuto, li porterà a una conquista, a una conclusione. Quale? Tocca a voi scoprirlo: ma non sarà una fatica, ma un piacere.
Lincoln nel Bardo, il pazzo e commovente capolavoro di George Saunders
Ho letto un libro bellissimo, commovente, originale e folle: Lincoln nel Bardo di George Saunders (Feltrinelli). Da tempo non mi capitava di immergermi in un libro che ha saputo sorprendermi come questo. Ecco la mia recensione.
George Saunders prende spunto da un frammento di verità storica: il presidente americano perse davvero il figlio e i giornali dell’epoca raccontarono che si recò nella cripta e aprì la bara per abbracciarlo. Partendo da questo sfondo, l’autore immagina che padre e figlio tentino di incontrarsi nel Bardo evocato nel titolo, un riferimento al Libro tibetano dei morti che allude a quello stato intermedio in cui la coscienza è sospesa fra la vita passata e quella futura. Una sorta di limbo o purgatorio, passaggio fra la vita terrena e quella che attende i morti.
In Lincoln nel Bardo troviamo anzitutto una potente, ironica e malinconica descrizione di questo mondo, di questa dimensione sospesa, abitata da tante persone, ognuna con la sua storia, quasi sempre venata di dolore o rimpianto, che sembra ancora dominarne i pensieri e i sentimenti. Qui il figlio di Lincoln troverà tre strane guide, di ascendenza dantesca, scrive il risvolto di copertina, in realtà a me paiono ben poco dantesche. Sono un sacerdote, un uomo che è morto a causa di un terribile incidente prima di godere delle gioie del suo matrimonio e un omosessuale tormentato e suicida. I tre si muovono insieme, come vecchi amici, e si appassionano alla vicenda del ragazzino. E quando nel regno in cui si trovano viene avvistato il padre, che non riesce a staccarsi dal figlio e vorrebbe rivederlo, si prodigano per rendere possibile questo incontro impossibile.
All’originalità straordinaria della trama corrisponde un’altrettanta originalità stilistica. George Saunders racconta la storia dando la voce – ogni volta con interventi brevi – alle tre guide poco dantesche, al figlio di Lincoln ed ad altri abitanti del limbo in alcuni capitoli, mentre in altri capitoli – sempre con questa struttura di citazioni brevi – dà spazio ai saggi storici dedicati a quelle vicende.
L’immaginazione dello scrittore – che con questo romanzo ha meritatamente vinto il Man Book Award – raggiunge il suo culmine quando descrive un proprio e vero giudizio universale, in cui i buoni vengono premiati e i cattivi condannati.
Sebbene non facilissima, la lettura di Lincoln nel Bardo è appassionante e commovente come di rado accade.
Richard Ford tra loro: un grande scrittore racconta papà e mamma
Attendo con trepidazione i nuovi romanzi di Richard Ford, uno degli scrittori che più amo in assoluto. Appena uscito Tra loro (Feltrinelli), l’ho letto subito.
Si tratta di un memoriale dedicato ai suoi genitori, articolato in due parti: la prima sul padre, la seconda sulla madre, nonostante – come spiega lo scrittore in una nota – quest’ultimo sia stato scritto ben 30 anni prima dell’altro.
TRA LORO: DI CHE COSA PARLA
Nella rievocazione di Richard Ford, il tratto dominante del padre è l’assenza. Dovuta in primo luogo alla sua professione, commesso viaggiatore, che lo portava lontano da casa dal lunedì al venerdì. E poi alla sua precoce scomparsa, avvenuta a poco più di 50 anni. Al di là di questi due fatti oggettivi, il racconto sembra alludere a un’assenza di altra natura, psicologica e affettiva, benché il figlio-scrittore ci tenga a ribadire che si è sempre sentito amato. Tanto da concepire questo memoriale come un atto di giustizia nei confronti del padre, un risarcimento per quanto il destino gli ha sottratto.
Se la parte sul padre si configura come un atto di giustizia, quella sulla madre è un atto d’amore. Ford ricorda il tempo trascorso con la madre, le lunghe settimane solo con lei, in attesa che il padre rincasasse, il venerdì. Qui trova spazio non solo l’infanzia, ma anche il periodo in cui loro due vissero da soli, dopo la morte del padre-marito. Madre e figlio si amavano, senza dubbio, ma anche nel rapporto fra di loro si insinua in qualche modo un’ombra e il loro era un “essere soli insieme”.
I genitori di Ford vissero per molto tempo da soli, dato che non arrivava un figlio, ed erano quasi sempre in viaggio, perché lei accompagnava il marito nel suo lavoro. Trascorsero dunque moltissimi anni vivendo come una coppia fra l’auto, gli alberghi, le serate. Quando nacque Richard, lo accolsero con gioia e amore, ma la loro vita mutò radicalmente. E se l’autore sottolinea che sempre si sentì amato, è insistente la domanda su quei lunghi anni in cui loro erano soli senza di lui e se avessero mai rimpianto quella condizione.
IL COMMENTO
Tra loro è un libro toccante e commovente. Al solito, Richard Ford non cattura la nostra sensibilità con una scrittura emotiva, ma, al contrario, con uno stile asciutto, preciso, oggettivo. I sentimenti, le riflessioni, le emozioni scaturiscono implicitamente dalla descrizione e dal racconto dei fatti e dei personaggi sulla scena.
Onesto fino in fondo con se stesso, Ford non trascura gli aspetti controversi della sua relazione con i genitori e i momenti critici, eppure il suo libro è, complessivamente, davvero un atto di giustizia e d’amore nei confronti di papà e mamma, così come sono stati nella realtà. E sebbene si sia sentito un figlio non solo accettato ma anche amato, i temi dell’assenza, della solitudine, del rimpianto fanno capolino e gettano una nuova luce su alcuni romanzi (lo scrittore stesso ammette, in un passaggio, che in certi casi la sua esperienza autobiografica si è travasata nei libri: potrebbe essere altrimenti?).
Pensiamo ad esempio a quel formidabile romanzo che è Canada: due ragazzi si trovano di colpo da soli dopo che i genitori sono stati arrestati per aver commesso una rapina…
Vale decisamente la pena leggere Richard Ford.
Kent Haruf e le sue anime delicate
LA SCOPERTA DI UN GRANDE SCRITTORE
Ogni tanto capita di scoprire, all’improvviso, un grande scrittore. Così grande da spingersi a chiedersi: come avevo fatto a non conoscerlo prima? E’ il caso di Kent Haruf, lo scrittore americano morto nel 2014 e oggi diventato oggetto di un culto da parte di un sempre più nutrito gruppo di lettori.
IL MERITO DI NN EDITORE
Il merito di averci fatto scoprire Kent Haruf è di NN editore. Qualche anno fa ha tradotto e pubblicato, uno dopo l’altro, i tre volumi della cosiddetta Trilogia della pianura o Trilogia di Holt. Nell’ordine: Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo.
La trilogia prende il nome da Holt, la cittadina immaginaria, situata nel Colorado, Stati Uniti, che fa da teatro alle vicende narrate.
Di recente lo stesso editore ha dato alle stampe l’ultima prova di Haruf, uscita postuma: Le nostre anime di notte. Un titolo che è già una poesia. Ascoltiamo anche nella lingua originale: Our souls at night.
LA GRANDEZZA DI KENT HARUF
Cosa rende Kent Haruf uno dei più grandi scrittori americani di questi ultimi decenni? Potremmo dire la sua scrittura, tanto semplice quanto precisa nell’andare al cuore dei suoi personaggi. Haruf abolisce le virgolette o altri segni di punteggiatura per il discorso diretto, inserendo semplicemente con la maiuscola all’inizio della frase.
Ma al di là di questa pur rilevante nota stilistica, è lo sguardo dell’autore a restare impresso al lettore: uno sguardo di profonda umanità, comprensione e compassione verso i suoi personaggi, i loro sentimenti, i piccoli e grandi drammi della vita. Haruf si dimostra capace tanto di scandagliare i recessi del loro animo, quanto di abbracciarli. Conosce la delicatezza delle nostre esistenze e, anziché giudicarle, condannarle o salvarle, si schiera dalla loro parte. Senza clamore, senza proclami, solo con un infinito senso di umanità.
Marco Buticchi: storia di un italiano, mio padre
Non dev’essere stato facile per Marco Buticchi scrivere questo libro e il fatto che lo abbia fatto all’età di 59 anni fa immaginare le comprensibili titubanze ed emozioni che lo hanno investito. Casa di mare (Longanesi) è la biografia più difficile che un uomo possa scrivere: quella del proprio padre. Se il
proprio padre, poi, è Albino Buticchi, il quadro si complica ancora di più.
Albino Buticchi è stato un uomo che, dal nulla, ha costruito un impero economico, dissolvendolo alla fine a causa di un’incontenibile passione per il gioco. Fra le umili origini e il triste epilogo, che comprende anche un tentativo di suicidio che lo rese cieco fino alla morte, avvenuta nel 2003, Albino Buticchi visse un’esistenza incredibile, per quante imprese e avventure attraversò. Prese parte alla Resistenza, sfuggì per un soffio alla deportazione in un lager, si arruolò nella Legione straniera, mise in piedi un’azienda petrolifera diventando uno degli uomini più ricchi e in vista dell’Italia del dopoguerra, fu campione di automobilismo e presidente del Milan, solo per citare alcune delle sue avventure…
Il titolo evoca le origini, il luogo e il mondo da cui Albino proviene. Il sottotitolo, Una storia italiana, spiega che la vicenda di quest’uomo si staglia sullo sfondo della Storia nazionale, dalla Seconda guerra mondiale all’inizio del terzo millennio, assurgendo a storia esemplare, che rigurda e tocca da vicino ciascuno di noi. L’autore-figlio si accosta a questa materia incandescente affidandosi ai canoni della biografia, quasi per conquistare la necessaria distanza affinché il “romanzo” possa formarsi. Qualche pagina, soprattutto quelle iniziali che descrivono il momento più difficile dell’esistenza del padre, tradiscono un coinvolgimento profondo. Ma è proprio questo fragile equilibrio fra sentimento e biografia a costituire la forza del libro.
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