Elenco degli articoli scritti da "Paolo Perazzolo, Autore a Paoloperazzolo.it - Pagina 3 di 22"

6 Giu 2018

Premio Vigevano, la terna dei finalisti

La splendida piazza Duomo di Vigevano.

Il 29 maggio scorso, alla Biblioteca di Vigevano, si è tenuta la riunione della giuria tecnica del Premio letterario nazionale della città.

Faccio parte della giuria tecnica insieme al professore Ermanno Paccagnini, all’editor Laura Lepri e al collega giornalista Gigi Mascheroni. Tra i numerosi libri candidati al premio dalle case editrici, abbiamo scelto questa terna:

  • Laura Pariani, Di ferro e d’acciaio, NN
  • Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli
  • Luca Saltini, Una piccola fedeltà, Giunti

Siamo convinti che si tratti di un terzetto di romanzi di assoluto rispetto, in cui la qualità letteraria – il nostro primario criterio di riferimento e di selezione – è elevata.

Se cercate consigli su qualche buon libro da leggere, che non vi lascia delusi, vi propongo dunque questi tre titoli. Mi direte che cosa ne pensate, se l’indicazione è stata valida.

Per sapere chi sarà il vincitore, decretato come sempre dalla giuria popolare, vi rimando alla serata finale del Premio letterario nazionale città di Vigevano del prossimo 20 ottobre.

2 Giu 2018

Quando Ramin Bahrami tradì Bach

Qualche sera fa ho avuto l’onore di presentare, alla Feltrinelli di Piazza Duomo, a Milano, il pianista italo-iraniano Ramin Bahrami. Se seguite la musica classica, saprete che si tratta di uno dei maggiori interpreti e studiosi di Bach a livello mondiale. L’occasione era la pubblicazione, per Decca, del Clavicembalo ben temperato vol. 1 di Bach.

Oltre che un grande musicista, Bahrami è un intellettuale capace di riflettere sul valore della cultura e del dialogo fra i popoli. Ed è anche una persona molto simpatica e divertente.

Quella sera, dopo l’intervista che gli ho fatto, la parola è passata al pubblico. Uno dei fan di Bahrami gli ha posto questa domanda: «A parte Bach, che sappiamo essere il suo punto di riferimento assoluto, quali sono gli altri compositori da lei amati?».

Un lampo ha attraversato gli occhi del pianista, che ha subito ripreso, almeno in apparenza, il suo fare sornione. «Vi racconto questo aneddoto», ha cominciato. «Un giorno, mi è venuta voglia di suonare Mozart. Messo da parte il mio senso di colpa per non dedicarmi in maniera totale a Bach, ho suonato per ore le musiche del salisburghese. Il giorno dopo mi sono messo in viaggio, perché dovevo raggiungere il maestro Riccardo Chailly a Lipsia per registrare i Concerti per pianoforte di Bach. Per tutto il tempo mi sono portato dietro quel magone, per aver trascurato il mio Maestro. Arrivato a Lipsia, con il maestro Chailly abbiamo cominciato a studiare gli spartiti, ma lui si è accorto presto che qualcosa non andava. “C’e qualche problema, Ramin?”, mi ha chiesto. Allora gli ho aperto il cuore e mi sono confessato. “Sì maestro, ho tradito Bach”. E lui, sorpreso: “Con chi?”. “Con Mozart”, gli ho risposto. “Beh, è stata una bella scappatella”, ha replicato lui».

Credo che questo racconto valga più di tante parole per raccontare l’amore di Ramin Bahrami per Bach, la sua furba intelligenza e la sua simpatia. 

Ecco un video in cui il pianista presenta il Clavicembalo ben temperato, registrato in due Cd, uno per ogni volume.

29 Apr 2018

Filosofia con i bambini a Fontanafredda

Il Bosco dei pensieri nella tenuta Fontanafredda a Serralunga d’Alba.

Eccoci qui con una nuova avventura di Philosophy for Children. Nei sabati di maggio (5, 12, 19 e 26), dalle 11 alle 12.30, avrò il piacere di filosofare con un gruppo di bambini-ragazzi dai 6 ai 10 anni in un luogo molti suggestivo, la tenuta Fontafredda, a Serralunga d’Alba.

Fra i vigneti e la natura delle Langhe piemontesi, Fontanafredda è una tenuta che vanta una storia antica, che rimanda addirittura al re Vittorio Emanuele II: fu lui ad acquistarla per donarla alla Bela Rosin. Successivamente viene intestata ai figli Maria Vittoria ed Emanuele Alberto Conte di Mirafiori.

Ma torniamo a noi. Qui, fra profumi di barolo, a pochi passi del bellissimo Bosco dei pensieri, vivremo un’esperienza coinvolgente. Non ci sarà nessuno a insegnare ad altri, nessuna cattedra, nessun voto (se non quelli che noi stessi vorremmo darci), ma tutti insieme ci faremo delle domande e cercheremo di darci delle risposte, imparando l’uno dall’altro e provando a pensare, a sviluppare le nostre capacità di stare insieme, a usare l’organo più affascinante che abbiamo (la mente!!!), a esprimere e difendere le nostre idee..

Il ciclo di Philosophy for Children è organizzato dalla Fondazione Mirafiore, che lo offre gratuitamente a chi voglia partecipare. A questo sito potete avere tutte le informazioni: https://www.fondazionemirafiore.it/laboratori_scuole/laboratorio-1/

Sarà emozionante conoscervi, ragazzi, e vivere questa avventura insieme. Ci faranno compagnia due amici che – lo vedrete voi stessi – sono davvero curiosi e stravanganti: Kio e Hus…

E chi lo sa, magari faremo anche qualche passeggiata, naturalmente filosofica, nel Bosco dei pensieri! Se non la facciamo noi filosofi, chi può farla?

Se siete curiosi di sapere qualcosa di più sulla Philosophy for Children, invece, date un’occhiata al mio sito: https://www.paoloperazzolo.it/laboratori-di-filosofia-per-bambini-e-ragazzi-philosophy-for-children/

24 Feb 2018

La redazione come comunità di ricerca?

Una scena del film “The post” di Spielberg.

È possibile concepire una redazione giornalistica come una comunità di ricerca (filosofica)?

Approdo a questa domanda, che mette in relazione la mia professione (giornalista) con una delle mie più forti passioni (la filosofia e la sua pratica – non insegnamento – con bambini e adulti), dopo che nel giornale per cui lavoro, Famiglia Cristiana, ho assunto il ruolo di caporedattore.

Come porsi davanti ai colleghi? Come attuare un costruttivo confronto di idee, stante la necessità di maturare in tempi rapidi una decisione? Come conciliare il potere e la necessità decisionale dettate dalla gerarchia con un’imprenscindibile apertura al confronto e ai contributi degli altri?

Sollecitato da questi interrogativi, sono arrivato a pensare che una redazione può – almeno per molti aspetti, se non per tutti – essere vissuta come una comunità di ricerca (filosofica). In questo modo trasferisco nella professione una delle acquisizioni più preziose della pratica filosofica.

Vivere l’attività redazionale come se fosse una comunità di ricerca significa che ognuno ha il diritto e il dovere di dare il proprio contributo, di esprimere le proprie idee, di illustrare la sua posizione, purché si impegni ad argomentarla, a mostrarne agli altri le buone ragioni, i fondamenti. Si gioca ad armi pari: ognuno, dotato della sua intelligenza, del pensiero razionale (il λóγoς) può aiutare a cercare la soluzione, il progetto migliore, in base e alla luce della linea editoriale del giornale in questione. È la forza, la lucidità, la solidità, la capacità di farsi voce del Pensiero (il λóγoς) a decidere in un processo inesauribile di mediazione, negoziazione e sintesi (la dialettica!) la bontà di ogni singola idea, naturalmente – lo ripeto – in relazione all’attività specifica, cioè il giornalismo, e alla testata di cui stiamo parlando E qui entrano in gioco altri fattori, come l’esperienza nel campo specifico e le abilità, anche tecniche, del mestiere).

Non mi sfugge la differenza fondamentale fra una comunità di ricerca e una redazione: nella prima i membri sono, sotto ogni punto di vista, uguali agli altri; nella seconda, esiste necessariamente una gerarchia, chi comanda e chi no. Ciò non impedisce, a mio parere, che anche il capo possa interpretare il suo ruolo secondo le modalità della Comunità di ricerca, nella quale tutti hanno le medesime possibilità di esprimersi e di contribuire alla ricerca comune della verità. Certo, in un giornale poi è necessario che qualcuno tiri le fila, che prenda le decisioni: ma fino all’atto finale, nel percorso che lo precede, può vivere con questo spirito la sua mansione.

D’altra parte Lipman, il filosofo che ha fondato la Philosophy for Children, da cui discende anche la Philosophy for Community, ha sempre sottolineato due aspetti essenziali della pratica filosofica e della comunità che la esperisce:

  1. è un esercizio di democrazia, in quanto ogni individuo vale in quanto tale ed è chiamato a confrontare la sua posizione con quella degli altri attraverso le armi della dialettica e della negoziazione
  2. a “comandare”, per così dire, non è nessuno, se non il Pensiero, la Logica, con la sua forza, la sua capacità di analisi e di sintesi

 

3 Gen 2018

L’ultima stagione di Don Robertson

Don Robertson (1929-1999)

Alla fine del 2017 vi avevo segnalato un romanzo originale e bellissimo, Lincoln nel Bardo, e già vi devo segnalare un altro romanzo da non perdere, un autentico capolavoro : L’ultima stagione di Don Robertson, che Nutrimenti sta facendo meritatamente conoscere al pubblico italiano. Seicento pagine tradotte magistralmente da Nicola Manuppelli che si vorrebbe non finissero mai.

Dunque, una coppia di anziani, Howard e Anne, decide di fare un viaggio, senza alcuna meta, con l’obiettivo di comprendere la struttura. Con questa parola l’uomo – a cui si deve l’idea – intende il senso, il significato della nostra esistenza e sotteso ai tanti eventi che la caratterizzano.

Anne è gravemente malata, ormai non le resta molto da vivere, ma asseconda volentieri il bizzarro progetto del marito, in compagnia del loro caro gatto Sinclair.

Don Robertson alterna il racconto in terza persona del presente, quindi di questo viaggio, al diario in prima persona che Howard tiene, di nascosto dalla moglie, grazie al quale riaffiorano gli eventi salienti del passato, di lui, della moglie, della coppia, dei figli, delle loro famiglie…

Riassumere gli incontri, gli avvenimenti, gli episodi che accadranno non avrebbe senso. Basti dire che nuclei centrali del passato, ma in fondo anche del presente, saranno il ricordo dei due figli maschi della coppia e la storia del loro amore.

Il filo che collega tutti i personaggi e i fatti narrati in L’ultima stagione è la profonda umanità che ci rende tutti simili, il dolore che ciascuno ha dovuto affrontare, il modo con cui ha reagito alle avversità, l’amore che ha messo in gioco…

Don Robertson è uno scrittore superbo con una sensibilità raffinata per i dialoghi e il lettore si lascia avvolgere dalla sua narrazione empatica e fluida.

Troveranno Howard e Anne, nel loro ultimo viaggio, la risposta alla loro domanda? Capiranno che cos’è la struttura? Il percorso, interiore prima ancora che fisico che avranno compiuto, li porterà a una conquista, a una conclusione. Quale? Tocca a voi scoprirlo: ma non sarà una fatica, ma un piacere.

10 Dic 2017

L’illusione di vivere senza l’Altro

Byung-Chul Han

Qualche anno fa avevo letto un saggio illuminante che spiegava come, nella nostra epoca, il prossimo avesse perso visibilità e consistenza, a causa dell’espansione dell’io. Lo aveva scritto uno psicoanalista molto bravo, Luigi Zoja, che lo aveva intitolato proprio La morte del prossimo (Einaudi).

Qualche giorno fa ho concluso la lettura di un altro saggio che, da una prospettiva più filosofica, non psicoanalitica, affronta lo stesso tema. Si tratta di L’espulsione dell’altro di Byung-Chul Han (Nottetempo). Un saggio non meno illuminante di quello di Zoja, non di facilissima lettura per chi non frequenta la filosofia, ma di estremo interesse, reso comunque piacevole dal ricorso dell’autore alla letteratura e al cinema per condurre il suo percorso.

La tesi di fondo del Byung-Chul Han – un coreano che insegna in Germania – è che la nostra società, dominata dal neoliberismo il cui obiettivo è la produttività, tende a livellare ogni realtà, esperienza ed entità nella dimensione dell’Uguale, cancellando la dimensione dell’Alterità. In altre parole, il nostro mondo è ormai pervaso da un pensiero, una cultura unica che tende ad espellere tutto ciò che non le corrisponde e che non si fa omologare.

La ricerca della massima produttività e, specularmente, del consumo hanno pervaso e invaso la nostra esperienza, grazie anzitutto a un’affermazione incondizionata dell’Io – in ciò l’analisi di Byung-Chul Han coincide con quella di Zoia. Il risultato è una realtà in cui qualsiasi esperienza della differenza, dell’Altro in tutte le sue accezioni scompare radicalmente.

La comunicazione digitale esprime perfettamente questo stato di cose, configurandosi come il linguaggio della nostra epoca: siamo chiamati sempre e solo a esprimere un “mi piace”, non ad articolare il nostro pensiero, in un dialettica costruttiva.

Ciò ha portato l’individuo e la società al benessere e alla felicità? Evidentemente no. Abitante di una casa in cui c’è spazio solo per se stesso, l’individuo è più solo che mai, come sta a denunciare ad esempio l’aumento dei casi di depressione. Il punto è che senza il confronto con l’Altro l’io non è in grado di auto-definirsi, di svilupparsi, di costruirsi come identità specifica. Abbiamo bisogno del riferimento a una Alterità per diventare noi stessi; se quella viene meno, anche l’io è in crisi.

Liberandosi dell’altro l’io pensa di migliorare la sua esistenza, di espandere la sua vitalità, di accrescere le sue possibilità. Invece accade tutto il contrario. 

Molti fenomeni dell’attualità possono essere compresi a partire da questa analisi. Lo stesso terrorismo è una ribellione violenta alla legge assoluta dell’Uguale.

L’espulsione dell’altro è un testo con cui vale la pena confrontarsi. L’analisi filosofica diventa chiave ermeneutica del presente.

 

21 Nov 2017

Lincoln nel Bardo, il pazzo e commovente capolavoro di George Saunders

George Saunders alla premiazione del Man Book Award

Ho letto un libro bellissimo, commovente, originale e folle: Lincoln nel Bardo di George Saunders (Feltrinelli). Da tempo non mi capitava di immergermi in un libro che ha saputo sorprendermi come questo. Ecco la mia recensione.

George Saunders prende spunto da un frammento di verità storica: il presidente americano perse davvero il figlio e i giornali dell’epoca raccontarono che si recò nella cripta e aprì la bara per abbracciarlo. Partendo da questo sfondo, l’autore immagina che padre e figlio tentino di incontrarsi nel Bardo evocato nel titolo, un riferimento al Libro tibetano dei morti che allude a quello stato intermedio in cui la coscienza è sospesa fra la vita passata e quella futura. Una sorta di limbo o purgatorio, passaggio fra la vita terrena e quella che attende i morti.

In Lincoln nel Bardo troviamo anzitutto una potente, ironica e malinconica descrizione di questo mondo, di questa dimensione sospesa, abitata da tante persone, ognuna con la sua storia, quasi sempre venata di dolore o rimpianto, che sembra ancora dominarne i pensieri e i sentimenti. Qui il figlio di Lincoln troverà tre strane guide, di ascendenza dantesca, scrive il risvolto di copertina, in realtà a me paiono ben poco dantesche. Sono un sacerdote, un uomo che è morto a causa di un terribile incidente prima di godere delle gioie del suo matrimonio e un omosessuale tormentato e suicida. I tre si muovono insieme, come vecchi amici, e si appassionano alla vicenda del ragazzino. E quando nel regno in cui si trovano viene avvistato il padre, che non riesce a staccarsi dal figlio e vorrebbe rivederlo, si prodigano per rendere possibile questo incontro impossibile.

All’originalità straordinaria della trama corrisponde un’altrettanta originalità stilistica. George Saunders racconta la storia dando la voce – ogni volta con interventi brevi – alle tre guide poco dantesche, al figlio di Lincoln ed ad altri abitanti del limbo in alcuni capitoli, mentre in altri capitoli – sempre con questa struttura di citazioni brevi – dà spazio ai saggi storici dedicati a quelle vicende.

L’immaginazione dello scrittore – che con questo romanzo ha meritatamente vinto il Man Book Award – raggiunge il suo culmine quando descrive un proprio e vero giudizio universale, in cui i buoni vengono premiati e i cattivi condannati.

Sebbene non facilissima, la lettura di Lincoln nel Bardo è appassionante e commovente come di rado accade.

 

20 Ott 2017

I Nobel ci indicano la strada

I tre vincitori del Nobel per la Medicina

Non mi pare che qualcuno abbia osservato che gli ultimi premi Nobel, quelli assegnati nel 2017, sono legati da un filo rosso: sono stati attribuiti a ricerche che indicano quale direzione dovrebbe prendere lo sviluppo, il progresso, affinché contribuisca a creare un mondo migliore e non a peggiorarlo.

Il Nobel per la Medicina a Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael Young è stato assegnato con questa motivazione: «La vita sulla Terra si è adattata alla rotazione del nostro pianeta», e le scoperte dei tre scienziati spiegano «come piante, animali e umani adattano il loro ritmo biologico di modo da sincronizzarlo con il moto della terra».

In altre parole, è stato dimostrato che la vita degli esseri viventi è evoluta ed è andata strutturandosi in sintonia con il movimento di rotazione del pianeta in cui abitiamo.Un’intuizione che faceva parte anche della saggezza popolare, ma che ora ha un fondamento scientifico. Legare i nostri bioritmi al movimento terrestre, quindi al dì e alla notte, alla luce e al buio, è (anche) una questione che ha a che fare direttamente con la nostra salute.

Di questo Nobel si è detto che è “ecologista”, ma in un senso profondo, perché ci ricorda che noi esseri viventi abbiamo un legame profondo e inscindibile con madre Natura e che soltanto una civiltà che rispetta questo legame, in altre parole una società sostenibile o ecologica, favorisce la salute e il benessere dell’uomo.

Il Nobel per la pace è andato invece all’Organizzazione per il bando alle armi nucleari (Ican) «per il suo ruolo nel fare luce sulle catastrofiche conseguenze di un qualunque utilizzo di armi nucleari e per i suoi sforzi innovativi per arrivare a un trattato di proibizioni di queste armi».  Il messaggio che arriva è chiaro: investire nelle armi nucleari non può portare a nulla di buono, serve soltanto a creare pericolose tensioni e a porre la basi per la distruzione del mondo. Ha senso insistere in quei negoziati che metteno d’accordo le armi, bloccandone la proliferazione. Ogni riferimento alla Corea del Nord e alla reazione muscolare di Trump è del tutto voluto.

Questi due Nobel dell’Accademia svedese (e il comitato norvegese per quanto riguarda il premio per la pace) scaturiscono da un’attenta e profonda lettura della realtà, dei problemi del mondo contemporaneo, e attribuendolo a determinate ricerche vogliono attirare l’attenzione del mondo su di essi e indicare, per quanto possibile, una possibile via d’uscita. Un premio politico, nel senso alto del termine.

In questa chiave possiamo leggere anche il Nobel per l’economia a Richard H. Thaler, per aver integrato – provo a tradurre la motivazione – economia e psicologia. In altre parole, Thaler ha dimostrato che quando prendiamo decisioni economiche non siamo influenzati soltanto da calcoli razionali (e quindi dalle teorie economiche), ma da molti altri fattori, a-razionali quando non irrazionali, legati alla sfera della psicologia e dell’emotività. Da questa idea nasce la convinzione che i Governi abbiano la possibilità di esercitare una dolce pressione, una sorta di moral suasion per indurre i cittadini a fare determinate scelte, ritenute utili e giuste. Qui si apre un dibattito non da poco per valutare se in questa azione il Governo abusi del suo potere e se abbia il diritto di farlo. Qui preme soltanto evidenziare che la cosiddetta economia comportamentale apre suggestivi scenari sulle sue applicazioni. Vi invito ad approfondire il tema cercando appunto i vari progetti attuati nelle politiche pubbliche, ad esempio quello di chiedere agli automobilisti, nel momento in cui prendono la patente, di indicare se vogliono donare i loro organi, in modo che tutti esprimano la loro scelta.

Non mi sembra vi sia nulla di politico nel Nobel per la letteratura a Kazuo Ishiguro, ma solo il giusto riconoscimento a un grande autore: qui il mio articolo sullo scrittore.

20 Set 2017

Il Centro di ricerca per l’indagine filosofica riconosciuto dal Miur

Una bella notizia per la Philosophy for Children e la sua diffusione nelle scuole: il Centro di ricerca per l’indagine filosofica (Crif) è stato riconosciuto dal Miur (il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) come ente abilitato a a fornire corsi di formazione e aggiornamento dotati di crediti ECM.

Ecco come il Crif ha dato notizia dell’importante riconoscimento.

A partire dal 1° settembre, l’accreditamento del CRIF quale Ente Formativo riconosciuto dal MIUR è operativo. Questo status,  oltre ad avere la valenza di riconoscimento istituzionale del lavoro e della serietà della nostra Associazione, ci permetterà di realizzare corsi di formazione e aggiornamento dotati di crediti ECM.

Gli insegnanti, inoltre, potranno utilizzare il buono della Carta del Docente (Legge 107/2015).

PROTOCOLLO D’INTESA MIUR-CRIF

Il 30 agosto scorso, il CRIF ha siglato con il MIUR un Protocollo d’Intesa triennale riguardante
l’educazione al pensiero critico e la didattica dell’inclusione.

Il MIUR e il CRIF, nel rispetto dei ruoli e delle proprie competenze, dei principi e delle scelte di
autonomia scolastica, con questo Protocollo s’impegnano, in stretta connessione con le Istituzioni
scolastiche del primo e del secondo ciclo di istruzione, a promuovere e a monitorare attività di
sperimentazione, ricerca e valutazione concernenti l’utilizzazione della pratica filosofica di comunità per lo sviluppo del pensiero complesso, nella sua articolazione critica, creativa e valoriale. Sfondo di riferimento è la costruzione di una cittadinanza attiva e inclusiva.

Sono dunque leducazione al pensiero critico e la didattica dell’inclusione i due grandi temi “affidati” dal Ministero dell’Istruzione al Crif.

Qui il testo del protocollo d’intesa: www.miur.gov.it/web/guest/-/protocollo-d-intesa-miur-crif

15 Set 2017

I pensieri si possono disegnare? Un laboratorio di filosofia per bambini (con metodo sperimentale)

All’ultimo Festival della mente di Sarzana, il 3 settembre scorso, con la collega teacher in Philosophy for Children (P4C) Annalisa Decarli abbiamo tenuto due laboratori di filosofia per bambini dai 5 agli 8 anni sul tema: “I pensieri si possono disegnare?”.

Di solito la Philosophy for Children si sviluppa in cicli di sessioni, perché il suo obiettivo è quello di costituire una Comunità di ricerca filosofica. Obiettivo raggiungibile solo attraverso un percorso di paziente costruzione di 1) una comunità 2) di ricerca 3) filosofica.

Tutto ciò ovviamente non è attuabile nel contesto di un festival, dove si incontrano bambini soltanto per la durata del laboratorio. Per questo, abbiamo elaborato una metodologia che, pur mantenendo saldi i principi e le finalità della P4C, si adattasse alla situazione.

Siamo partiti non con un testo, bensì con un breve filmato, due corti della Pixar: Soar e The present, che hanno svolto la funzione di pre-testi della sessione. La costruzione dell’agenda, solitamente affidata all’elaborazione di domande via via selezionate dal gruppo, è stata sostituita da un disegno individuale. La discussione, infine, è partita dalla ricerca di somiglianze e differenze fra i disegni dei bambini, disposti entrambi in modo da formare un cerchio (fin dall’inizio i partecipanti erano seduti in cerchio, come prevede la P4C). A quel punto, la discussione ha toccato i temi più imprevedibili…

E’ stata un’esperienza particolare e interessante. Chissà se questa metodologia sperimentale – pensata, lo ripeto, per la situazione straordinaria e il contesto specifico – potrà tornare utile in altre occasioni…

 

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Chi sono

Sono nato a Vicenza nel 1968. Mi sono laureato in Filosofia a Padova con una tesi su Martin Heidegger, poi ho frequentato il Biennio di giornalismo dell’Ifg di Milano. Sono caporedattore e responsabile del settore Cultura e spettacoli di Famiglia Cristiana. Mi sto occupando di Filosofia per bambini e per comunità (P4C). [leggi tutto…]

Preghiere selvatiche

There's a blaze of light In every word It doesn't matter which you heard The holy or the broken Hallelujah
Leonard Cohen