Il vero significato della “fine della storia” secondo Francis Fukuyama
Sicuramente il nome di Francis Fukuyama è legato soprattutto all’idea della “fine della storia”, espressa in un saggio del 1992, intitolato La fine della storia e l’ultimo uomo, pubblicato nel 1992.
Scritto all’indomani del crollo del Muro di Berlino, del dissolvimento dell’Unione sovietica e della fine dei due blocchi e quindi della Guerra fredda, quell’idea non suscitò subito il dibattuto che avrebbe scatenato di lì a pochi anni. Una serie di eventi – fra cui nuovi conflitti, la crisi di diversi stati democratici e il ritorno a regimi totalitari – sembrò gridare al mondo che la storia non era affatto finita, come stavano a dimostrare appunto gli ultimi eventi.
Francis Fukuyama non ha mai ritrattato del tutto quella sua tesi, piuttosto si è affannato a più riprese a specificarne il significato autentico. Lo ha fatto anche nel recente saggio Identità (Utet), in occasione della cui pubblicazione ho avuto la possibilità di incontrarlo di persona e intervistarlo.
La mia modesta opinione è che Fukuyama abbia ragione, a condizione che la sua tesi venga compresa in un’accezione ampia, non letterale.
“Fine della storia” in senso letterale significa che la democrazia – con i valori di libertà, rispetto dei diritti, uguaglianza, equilibrio dei poteri ecc. su cui si fonda e a cui dà forma – ha ormai trionfato a livello planetario e quindi ha raggiunto la sua destinazione finale. Intesa così, la teoria è chiaramente datata e superata, persino ingenua.
Tuttavia a mio avviso il politologo americano voleva intendere un’altra cosa: che la storia si muove inesorabilmente verso la libertà e i diritti, che trovano la loro incarnazione politica appunto nelle democrazie liberali. Certo, dopo la caduto del Muro e la disgregazione dell’Urss la storia ha compiuto un balzo in quella direzione, ma non si è certo compiuta – e chissà se si compirà mai del tutto, verrebbe da aggiungere. E tuttavia quel movimento storico verso la libertà e i diritti, il rispetto dell’individuo, l’uguaglianza e la giustizia è inarrestabile, incancellabile, per la ragione che l’uomo in quanto tale aspira a essere libero e a vedere riconosciuti i suoi diritti. Metaforicamente si potrebbe dire che il processo storico verso la libertà – usiamo questa parola per sintetizzare tutti i valori indicati sopra – assomiglia a quella che in natura è l’evoluzione: legge interna al mondo naturale, sempre in azione.
Quindi Fukuyama con la sua controversa teoria sulla “fine della storia” ha indicato la dinamica teleologica della storia, non un dato di fatto. Chi crede che davvero libertà e diritti della persona siano le mete cui aspira ogni uomo e che queste trovano incarnazione politica nella democrazia liberale (certo, poi bisogna cominciare a discutere su che cos’è una democrazia liberale…) può quindi dirsi d’accordo con lui.
Un’ultima annotazione: il discorso di Fukuyama è profondamente hegeliano, in questo individuare una tensione, un cammino della storia verso la libertà.
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