C’è vergogna e vergogna…
Non è casuale che, negli ultimi anni, siano usciti diversi saggi sul tema della vergogna. L’attualità offre non pochi spunti per una riflessione sulla sua scomparsa. Marco Belpoliti, un paio di anni fa, titolava esplicitamente Senza vergogna la sua indagine (Guanda).
Stimolante e appassionante è il lavoro che la sociologa Gabriella Turnaturi ha condotto in Vergogna. Metamorfosi di un’emozione (Feltrinelli), mia attuale lettura. L’idea di fondo, ben argomentata e convinvente, è che la vergogna non è scomparsa, come farebbero presumere scandali, episodi di corruzione, impunità, esibizioni di arroganza e ostentazioni di narcisismo, di cui tutti possiamo trovare un’ampia fenomenologia nella nostra vita quotidiana. Essa si è trasformata, ha assunto forme nuove.
Se in passato era la reazione di un individuo alla violazione di un codice etico condiviso dalla comunità, oggi è legata al concetto di performance: poiché ciò che conta è l’affermazione di sé, in una società ridotta a palconscenico per il nostro spettacolo, ci si vergogna allorché non ci si sente all’altezza o si ritiene che la propria esibizione sia inadeguata. Resta, a ben vedere, il riferimento a un orizzonte di valori condiviso, solo che questo è profondamente mutato.
Un altro pregio del saggio è quello di argomentare il discorso con esempi tratti dal cinema e dalla letteratura. Il saggio della Turnaturi sarà oggetto della prossima puntata dell'”Alfabeto dell’etica”, la serie che sto sviluppando sul sito di Famiglia Cristiana.
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