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La redazione come comunità di ricerca?
È possibile concepire una redazione giornalistica come una comunità di ricerca (filosofica)?
Approdo a questa domanda, che mette in relazione la mia professione (giornalista) con una delle mie più forti passioni (la filosofia e la sua pratica – non insegnamento – con bambini e adulti), dopo che nel giornale per cui lavoro, Famiglia Cristiana, ho assunto il ruolo di caporedattore.
Come porsi davanti ai colleghi? Come attuare un costruttivo confronto di idee, stante la necessità di maturare in tempi rapidi una decisione? Come conciliare il potere e la necessità decisionale dettate dalla gerarchia con un’imprenscindibile apertura al confronto e ai contributi degli altri?
Sollecitato da questi interrogativi, sono arrivato a pensare che una redazione può – almeno per molti aspetti, se non per tutti – essere vissuta come una comunità di ricerca (filosofica). In questo modo trasferisco nella professione una delle acquisizioni più preziose della pratica filosofica.
Vivere l’attività redazionale come se fosse una comunità di ricerca significa che ognuno ha il diritto e il dovere di dare il proprio contributo, di esprimere le proprie idee, di illustrare la sua posizione, purché si impegni ad argomentarla, a mostrarne agli altri le buone ragioni, i fondamenti. Si gioca ad armi pari: ognuno, dotato della sua intelligenza, del pensiero razionale (il λóγoς) può aiutare a cercare la soluzione, il progetto migliore, in base e alla luce della linea editoriale del giornale in questione. È la forza, la lucidità, la solidità, la capacità di farsi voce del Pensiero (il λóγoς) a decidere in un processo inesauribile di mediazione, negoziazione e sintesi (la dialettica!) la bontà di ogni singola idea, naturalmente – lo ripeto – in relazione all’attività specifica, cioè il giornalismo, e alla testata di cui stiamo parlando E qui entrano in gioco altri fattori, come l’esperienza nel campo specifico e le abilità, anche tecniche, del mestiere).
Non mi sfugge la differenza fondamentale fra una comunità di ricerca e una redazione: nella prima i membri sono, sotto ogni punto di vista, uguali agli altri; nella seconda, esiste necessariamente una gerarchia, chi comanda e chi no. Ciò non impedisce, a mio parere, che anche il capo possa interpretare il suo ruolo secondo le modalità della Comunità di ricerca, nella quale tutti hanno le medesime possibilità di esprimersi e di contribuire alla ricerca comune della verità. Certo, in un giornale poi è necessario che qualcuno tiri le fila, che prenda le decisioni: ma fino all’atto finale, nel percorso che lo precede, può vivere con questo spirito la sua mansione.
D’altra parte Lipman, il filosofo che ha fondato la Philosophy for Children, da cui discende anche la Philosophy for Community, ha sempre sottolineato due aspetti essenziali della pratica filosofica e della comunità che la esperisce:
- è un esercizio di democrazia, in quanto ogni individuo vale in quanto tale ed è chiamato a confrontare la sua posizione con quella degli altri attraverso le armi della dialettica e della negoziazione
- a “comandare”, per così dire, non è nessuno, se non il Pensiero, la Logica, con la sua forza, la sua capacità di analisi e di sintesi
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