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“Internet è buono”, ma non spiega perché
Ho letto La psicologia di Internet di Patricia Wallace (Raffaello Cortina), sul quale ho maturato un giudizio ambivalente.
Il saggio di Patricia Wallace – esperta di psicologia delle relazioni e dell’apprendimento – si segnala in positivo per la quantità impressionante di ricerche citate condotte sul campo in tutto il mondo su Internet e i social media e i loro effetti sulla persona. Sono centinaia. Da valutare positivamente anche la tendenza dell’autrice di evidenziare, per ogni tema, aspetti utili e insidie offerti dal Web.
Detto questo, La psicologia di Internet resta vittima di un equivoco strutturale.
In primo luogo, a fronte dei vantaggi e delle utilità offerte da una determinata funzione del Web, corrisponde una più vasta area di criticità e problematiche: a dircelo è la stessa Wallace, ed è strano che lei non percepisca questo sbilanciamento.
In secondo luogo – e questo è il problema di fondo – l’autrice manifesta un’opinione sostanzialmente positiva di Internet, in quanto consente al Sé di forgiare la sua identità e di comunicare con un’efficacia mai conosciuta prima, dilatando le sue possibilità, mettendo in mano al soggetto potenti strumenti. Se usato in maniera attiva, Internet, nonostante tutte le sue zone d’ombra, migliora la nostra vita.
Ora, si può concordare con questa tesi, ma resta un problema: ciò che consente a una persona di usare il mezzo attivamente, anziché esserne usato, non si reperisce all’interno di Internet. L’intelligenza che permette ad esempio di vagliare l’attendibilità di una fonte non è data dalla frequentazione di Internet, bensì da una maturità, un’esperienza conquistata al di fuori di esso. Insomma, solo grazie a capacità pre-acquisite alla navigazione posso dare vita a una navigazione attiva e non passiva, utile e non dannosa.
Questo il problema, che il saggio nemmeno sfiora. Non basta dire – come si fa in La psicologia di Internet – che il Web tende a renderci una maschera disumana e a farci compiere di conseguenza una serie di brutte azioni, ma che se il soggetto di ricorda di essere una persona, può prevenire azioni disumane. Un’idea piuttosto debole e fragile. Posso ricordarmi di essere una persona solo se ho maturato questa consapevolezza prima di buttarmi nel mate del Web.
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