Elenco degli articoli taggati con "recensione Archives - Paoloperazzolo.it"
Ishiguro, ricordare o dimenticare il passato?
Non delude mai Kazuo Ishiguro. Nei suoi libri ci si perde, perché è uno di quegli scrittori che sa trascinarti in un universo, farti vivere le emozioni dei suoi personaggi, perché senti che sta parlando delle tue stesse emozioni. Oltre all’arcinoto Quel che resta del giorno, Non lasciarmi è un’altra lettura indimenticabile. E avevo ammirato anche la raccolta di racconti Notturni, inspiegabilmente criticata da alcuni.
Di Ishiguro mi incanta la raffinatezza con cui penetra nel cuore dell’uomo e quell’atmosfera struggente e malinconica che è una cifra del suo stile.
Con queste premesse, capirete con quale stato d’animo ho letto il suo ultimo romanzo, Il gigante sepolto, tradotto in italiano come sempre dall’editore Einaudi.
Si può forse restare stupiti dalla scelta di adottare il genere fantastico, da parte di un autore sofisticato e raffinato come lui. Ma basta leggere poche pagine per rendersi conto che Ishiguro lo declina a modo suo, inventando una nuova, affascinante esplorazione dell’animo umano.
Ammaniti, Anna meritava di più
Da un po’ di tempo, anzi ormai da parecchio, non riesco ad apprezzare i libri di Niccolò Ammaniti. Ho la sensazione che, dopo il grande successo ottenuto con i suoi primi testi e fino al premio Strega, non si sia più “ripreso”, nel senso che è un po’ prigioniero di se stesso. Con il risultato di romanzi che puntano a colpire il lettore con effetti speciali, ma privi di autentica ispirazione e di profondità.
Non fa eccezione l’ultimo suo lavoro, Anna, in testa alle classifiche di vendita. Qui spiego perché non mi ha convinto.
Un padre, un figlio e l’orso
Ho letto con interesse La pelle dell’orso di Matteo Righetto. Tra i motivi d’interesse, l’ambientazione dolomitica, ma soprattutto il rappordo fra padre e figlio riletto in maniera originale, con una scena davvero potente, che meriterebbe un approfondimento psicanalitico. Ecco la mia recensione.
Javier Cercas, la legge della letteratura
Ho appena finito di leggere, con grande soddisfazione, Le leggi della frontiera di Javier Cercas. Grande autore, gran bel romanzo che raccomando a tutti. Ecco la mia recensione su Famigliacristiana.it: www.famigliacristiana.it/articolo/un-autore-per-l-estate-javier-cercas.aspx. Un altro capitolo della serie “vera letteratura” (vedi qui e qui).
Simonetta Agnello Hornby, il veleno dell’ambiguità
L’ambiguità è la parola chiave dell’ultimo romanzo di Simonetta Agnello Hornby, Il veleno dell’oleandro (Feltrinelli). Un romanzo che tiene avvinto il lettore fino alla fine. La scrittrice-avvocatessa ci riporta nella sua Sicilia, dove sorge una maestosa villa appartenuta al diplomatico Tommaso Carpintieri e dove confluiscono i figli Mara, Giulia e Luigi per dare l’estremo saluto alla mamma-zia Anna, seconda moglie dell’ambasciatore. Dovranno tutti misurarsi con l’affascinante Bede, gestore della proprietà, nonché amante prima di Tommaso e poi della stessa Anna. La caccia ad alcune misteriose pietre preziose a cui allude Anna solleciterà l’avidità – in varie forme – dei figli, costretti a scoprire affari loschi e inquientanti nella gestione delle villa e delle annesse serre.
Tanti i personaggi, in una trama che si infittisce, arricchisce e complica a ogni capitolo: forse sono persino troppi i temi che l’autrice ha voluto concentrare in questa storia. La forza della passione, i legami familiari “necessari” eppure colmi di contraddizioni, la violenza domestica (come avvocatessa, l’autrice si è occupata della questione, già presente in altri suoi testi), e ancora la tratta dei clandestini, la mafia (non pienamente credibile la setta con i suoi adepti)… Forse troppo, anche se il romanzo è nel complesso riuscito e intrigante, grazie alla maestria della Agnello Hornby nel condurre il gioco e a una scrittura capace di rendere vivida la scena.
E’, Il veleno dell’oleandro, un romanzo sull’ambiguità. Ambiguo è Bede, figura attorno a cui ruota tutta la vicenda: nella sessualità, nei sentimenti (devoto ad Anna fino alla fine, complice della gestione criminale della proprietà); ambuigui sono Tommaso e Anna, e ogni altro protagonista, inclusa Mara, alla cui voce – alternata a quella dello stesso Bede – è affidata la narrazione.
Nulla è come appare, bene e male sono iscritti in ogni personaggio, ogni sentimento ha una doppia faccia, non c’è comportamento che non abbia un duplice risvolto… Tutte le vite descritte sono, in fondo, lacerate da una radicale ambiguità. Persino il paesaggio ne è segnato.
Giudizio finale: un romanzo intrigante che vale la pena leggere.
Concerto per traffico, violino e orchestra
Metti un giorno in cui, a causa delle neve, per andare al lavoro devi lasciare a casa la moto e prendere la macchina. Ti immergi nel traffico, noioso, grigio, inutile. Cerchi una via d’uscita, materiale e metaforica. Vedi il lettore Cd e pensi che potrebbe essere quella la tua ancora di salvezza.
Partono le note di Meditazione in preghiera di Giovan Battista Viotti. Già, chi è? Un grande e affascinante personaggio della nostra storia musicale (1755-1824), genio del violino, ispirato compositore che girò l’Europa e si trovò costretto a fare anche il commerciante di vino, nelle alterne vicende della vita. A far risuonare il “suo” violino è un maestro come Guido Rimonda, magistralmente accompagnato dall’Orchestra Camerata ducale.
Basta poco, e le strade, le macchine, il fumo che esce dalle marmitte a inquinare il mondo scompaiono. Sei in un’altra dimensione, quella di Viotti, quella della sua Meditazione, quella della musica, dello spirito. Quasi ti dispiace, adesso, quando il traffico corre via veloce. Vivi come una benedizione l’altrimenti odiato semaforo rosso: secondi preziosi per leggere il libretto e sapere di più di questo genio, capace di creare melodie così soavi.
Dopo Meditazione in preghiera, i Concerti per violino 22 e 24, bellissimi. E… Accidenti, sono già arrivato al lavoro!
(Violin Concertos, Decca).
Pi, Ulisse, Giobbe e l’istinto di sopravvivenza
«Dio, ho perso la mia famiglia, ho perso tutto. Che cosa vuoi da me?». «Tu sia lodato per ogni cosa». Sono alcune delle frasi che Pi grida a Dio, mentre vaga con la sua barca in mezzo all’oceano. Ho visto il film di Ang Lee al cinema, tratto dal romanzo di Yann Martel, poco dopo che aveva fatto incetta di nomination agli Oscar, secondo solo a Lincoln di Steven Spielberg.
È un film che non lascia indifferente lo spettatore. Anziutto per la sua straordinaria potenza visiva (da sottolineare il ruolo di un italiano, Claudio Miranda, alla fotografia): sappiamo che la capacità visionaria di Ang Lee è stupefacente. Alcune sequenze sono fra le più emozionanti che io abbia mai visto al cinema.
Mi ha interessato molto la dimensione filosofica del film. Chi è Pi? Un moderno Ulisse, protagonista di un viaggio che sembra infinito, come le cose che gli insegna? Oppure, meglio, un moderno Giobbe, la cui fede viene provata a livelli sempre più profondi? Pi è un ragazzo aperto alle religioni, da tutte accoglie qualcosa, in un personalissimo sincretismo; a somministrargli lalezione del razionalismo è il padre; la letteratura è l’altra grande maestra della sua vita…
Con questo bagaglio, il ragazzo si troverà ad affrontare una prova quasi insostenibile: quella che pone l’uomo di fronte all’istinto di sporavvivenza. Che ne è, allora, dei principi morali, delle leggi divine, della fede?
Un film che merita davvero di essere visto.
La (buona) solitudine di Paolo Giordano
Ho letto Il corpo umano, il secondo e ultimo romanzo di Paolo Giordano, il giovane fisico che aveva vinto lo Strega con il romanzo rivelazione La solitudine dei numeri primi (entrambi Mondadori).
In attesa di condividere sul blog una recensione ragionata, qualche appunto.
Tanto si è parlato di come il titolo del romanzo d’esordio abbia contribuito in maniera decisiva al suo successo. A mio giudizio, questo secondo titolo, in apparenza piatto e meno evocativo, è molto bello. Da qualche parte ho letto che sarebbe stato l’autore a sceglierlo. Perché lo trovo tanto bello? Perché aderisce perfettamente al contenuto, all’idea di fondo del romanzo.
Giordano è stato molto bravo a gestire l’ansia da prestazione che coglie gli scrittori alla seconda prova. Lui stesso ha raccontato di come ne sia stato vittima. Chissà, il viaggio in Afghanistan, che molto ha ispirato Il corpo umano, forse gli è servito a creare quel distacco geografico e quindi piscologico che gli era necessario per ripartire.
Mi sembra chiaro che Giordano dia il meglio di sé quando indaga “situazioni estreme”, ovvero quelle esperienze in cui l’umanità dei suoi personaggi, messi alle strette, spogliati dalle maschere e dai ruoli sociali, si rivelano per quel che sono, mostrando tutti i loro limiti, le loro contraddizioni, i loro disagi…
Ecco la recensione pubblicata su Famigliacristiana.it:
Se la memoria m’inganna (Vera letteratura: 2)
Vi avevo parlato di Maledetto Dostoevskij di Atiq Rahimi, definendolo un romanzo bellissimo, di quelli che ci ricordano che cos’è la vera letteratura. Ora, poiché non è facile imbattersi in libri che abbiano una statura del genere, non perdo l’occasione per inserire nella categoria “vera letteratura” (di qui il titolo di questo articolo) Il senso di una fine di Julian Barnes, vincitore del Man Booker Prize e pubblicato da Einaudi. Romanzo potente, vicino alla perfezione. Anche in questo caso la “prova orecchie” non lascia scampo.
Un’altra prova a cui sottopongo i romanzi che leggo è quella del tempo. Se una storia mi ritorna alla mente nei giorni successivi, una volta terminata la lettura, significa che mi ha lasciato un’eco profonda, che non è scivolato sulla superficie della mia coscienza, che ha inciso la mia sensibilità.
Il senso di una fine è la storia di un uomo mediocre, che mediocremente vorrebbe chiudere la sua parabola esistenziale. Qualcosa, dal passato, lo costringe a rivedere sotto un’altra luce se stesso e la vita fin lì vissuta. Un thriller piscologico sul valore dei ricordi, la forza mistificatrice del ricordo, la responsabilità individuale, il rapporto fra libertà e destino. Una gran, bella lettura.
Ecco la recensione che ho scritto per Il nostro tempo: http://www.ilnostrotempo.it/?q=node/280
Maledetto Dostoevskij! (Vera letteratura: 1)
Questa è letteratura, ragazzi. Avevo conosciuto Atiq Rahimi attraverso il suo Pietra di pazienza, con cui aveva vinto il prestigioso Goncourt nel 2008. Splendido. Ora ho letto il recente Maledetto Dostoevskij, pubblicato, come il precedente libro, da Einaudi. E la sensazione, a lettura ultimata, è che siamo in presenza della vera, grande letteratura. Sensazione che non capita di provare tanto spesso. Ci sono libri più o meno riusciti, più o meno buoni; e poi i grandi libri, quelli che fanno vivere la letteratura e rendono immortale il romanzo – a dispetto delle polemiche sulla sua fine.
Un ragazzo sta per ammazzare una vecchia usuraia che costringe la fidanzata a prostituirsi. E, ascia alla mano, sospesa in aria, gli viene in mente Delitto e castigo di Dostoevskij. Che non cesserà di maledire in tutto il romanzo, perché assumerà i connotati della coscienza, che gli conficca nel cuore un senso di colpa da cui non riuscirà a liberarsi se non sottoponendosi a giudizio.
Alcune pagine sono memorabili. Valga la prova”orecchie alle pagine”: ne ho fatte ben 22. Pagine che valgono come e più di un trattato di filosofia morale e di diritto.
Come? Non si fanno le orecchie alle pagine? Sappi che nemmeno io li ho fatti, fino a qualche anno fa, considerando il libro alla stregua di un oggetto sacro che, quasi immacolato, doveva passare dalle mie mani alla libreria. Invecchiando, ho cambiato idea. Un libro diventa tuo nella misura in cui lo vivi. E lasciare un segno materiale, quale l’orecchia, alla pagina, mi permette non solo di ritrovare facilmente alcuni passaggi o dialoghi, ma anche di tornare a leggermeli quando, in futuro, mi ritornerà alla mente la storia.
Su questo libro scriverò una recensione per Il nostro tempo.
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