Perché non possiamo non dirci stupidi
Senza offesa per nessuno, il titolo mi sembra la migliore sintesi di un saggio stimolante, benché non di facilissima lettura, che ho appena finito. Si tratta di Stupidità del semiologo Gianfranco Marrone (Bompiani). Un’indagine tutt’altro che scontata sulla cretineria, in cui si visitano autori come Barthes, Flaubert, Musil, Eco, Sciascia, Adorno…
Ecco, in breve, quel che mi è rimasto da questa lettura:
– si tende a pensare che lo stupido sia sempre l’altro
– invece lo siamo tutti, almeno in qualche campo, in qualche contesto (quello della stupidità parziale è una bella intuizione dell’autore)
– anziché contrapposte, stupidità e razionalità sono in un rapporto di continuo scambio, al centro di un’incessante oscillazione e inquinamento reciproco
– la stupidità è quindi insuperabile, l’unico atteggiamento possibile per non farsene dominare è quella ragionevolezza che limitatamente ne subisce il fascino, ma senza farsene soggiogare e imbrigliare definitivamente
– la stupidità sfugge a qualsiasi definizione, ma è certo che il fanatismo e la “mancata evoluzione” (Adorno), ovvero l’interruzione della crescita, della trasformazione di se stessi, la chiusura entro uno schema la evocano fortemente
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