Italo Calvino ci racconta (ancora) una fiaba
Che magnifico progetto furono le Fiabe italiane di Italo Calvino. Un servizio grandioso alla nostra tradizione, al patrimonio culturale delle nostre Regioni. E, al tempo stesso, un regalo ai lettori e ai bambini di tutti i tempi. Di questo capolavoro esistono diverse edizioni. In queste settimane la Mondadori le sta riproponendo in una serie di volumi, ciascuno dei quali raccoglie una selezione tematica (le favole che fanno paura, quelle con gli animali, quelle di mare, pe ri più piccini…) affidata a un’illustratrice. La lingua di Calvino nel tradurre i testi originali è precisa, immediata, perfetta, come sempre.
Passando dalla teoria alla pratica, devo dire che i miei due bambini, di 5 e 7 anni, sono rapiti e acoltano in devoto silenzio.
Ecco come lo stesso Calvino raccontò la sua impresa: «Per due anni ho vissuto in mezzo ai boschi e palazzi incantati, col problema di come meglio vedere in viso la bella sconosciuta che si corica ogni notte al fianco del cavaliere, o con l’incertezza se usare il mantello che rende invisibile o la zampina di formica, la penna d’aquila e l’unghia di leone che servono a trasformarsi in animali. E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo: e le vite individuali, sottratte al solito discreto chiaroscuro degli stati d’animo, si vedevano rapite in amori fatati, o sconvolte da misteriose magie, sparizioni istantanee, trasformazioni mostruose, poste di fronte a scelte elementari di giusto o ingiusto, messe alla prova da percorsi irti d’ostacoli, verso felicità prigioniere d’un assedio di draghi; e così nelle vite dei popoli, che ormai parevano fissate in un calco statico e predeterminato, tutto ritornava possibile: abissi irti di serpenti s’aprivano come ruscelli di latte, re stimati giusti si rivelavano crudi persecutori dei propri figli, regni incantati e muti si svegliavano a un tratto con gran brusio e sgranchire di braccia e gambe. Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un’allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell’unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere».
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